[2006#0] albe steiner in messico
Oggi è già domani
Albe Steiner in Messico
“È Hannes Mayer che ha diretto e realizzato la Memoria del Comitato Amministratore del Programma Federale per la Costruzione di Scuole (Capfcs) 1944-1946, pubblicazione di oltre 400 pagine con più di 1000 illustrazioni su quanto in tre anni si era fatto in Messico per la costruzione di edifici scolastici; gli artisti del Taller de Grafica Popular hanno disegnato un aspetto diverso dei diversi Stati, ciascuno con le proprie caratteristiche”. In un’intervista data a Renzo Vespignani per «Rinascita» nel 1948, anno del ritorno in Italia dal Messico, Albe Steiner ricordava così –senza alcun cenno al proprio contributo– la vicenda editoriale che invece lo aveva visto partecipe in prima persona. È lui infatti l’autore della grafica del volume del Capfcs, stampato in un formato orizzontale ad album, connotato come architettonico già prima dell’Œuvre compléte di Corbu, e con una confezione altrettanto caratterizzata: legatura in tela, con impressione a due colori (rosso/nero) del prolisso titolo, e sovracoperta con bandelle. L’archivio Steiner, donato nel 2003 al politecnico di Milano, conserva un documento straordinario del percorso ideativo della pubblicazione e della passione per il mestiere di grafico del progettista: il menabò completo, una di quelle sue “maquetas de las ediciones –come annoterà Alberto Beltrán– […] cuidadosamente hechas”. “Il mestiere del grafico, –notava Paolo Fossati nel 1978– del progettista, trascende sempre, per Steiner, la stessa constatazione formale, che pone il grafico come produttore di oggetti o forme: l’esito non sta nell’oggetto, anche se è esso il luogo produttivo, perché l’oggetto organizza un piano più vasto e più complesso di relazioni e di dati”. Nel contesto specifico dell’esperienza messicana, la visualizzazione preliminare di un artefatto a stampa e le istruzioni per l’esecuzione dell’impaginazione (questa la natura e lo scopo di un menabò) si trasformano in un vero tour-de-force, risultando in uno speciale ‘libro d’artista’ –in questo caso, unicum destinato esclusivamente a guidarne la produzione tecnica–, la cui qualità visiva è inesorabilmente superiore a quella del volume stampato. Dalla prima all’ultima pagina del menabò, con la dedizione e la precisione che reclama la tipografia vissuta come progetto d’informazione e d’orientamento (dell’esecutore, ancor prima del lettore), Steiner meticolosamente schizza e pennella a china ciascuna illustrazione nella posizione e dimensione adatta e, al contempo, riporta a pennino le righe esatte misurate di testo e didascalie, ottenendo un ‘modello’ concreto di libro, di grande efficacia operativa, con cui porta agli estremi una prassi –usuale, per lui e per molti suoi contemporanei– per presentare stampati. Non a caso, poiché: “in Messico –ha ricordato Lica Steiner, a proposito degli arredi ideati per la loro nuova casa-studio in quella terra– a quei tempi gli artigiani erano bravissimi nel loro lavoro […]: a loro serviva il modellino, poi realizzavano l’oggetto con grande accuratezza”.
Esponente tra i maggiori della progettazione grafica (non solo italiana) del secondo novecento, Albe Steiner ne ha incarnato, tra anni quaranta e settanta, una esplicita vocazione politica, intessuta da assunti pedagogici, che marcano l’intero suo itinerario di vita. Riassunta nella formula del “rosso e nero” (facile e fortunata etichetta critica), la ricerca visiva di Steiner attinge dalle esperienze delle avanguardie razional-costruttive europee degli anni venti e trenta –sovietiche e germaniche in specie, da El Lisickij a Tschichold e al Bauhaus (“ricordo ancora d’aver visto per la prima volta nel suo studio, rammenta al proposito Gillo Dorfles, la serie, allora sconosciuta, da noi, dei Bauhausbücher”)– sia motivazioni culturali che principi di chiarezza e rigore, per elaborarli secondo un originale percorso di ricerca (in cui si intrecciano diletto grafico, competenza tipografica, sguardo fotografico) e innestarli nello specifico contesto civile italiano. “Una delle fondamentali idee estetiche del nostro secolo [il novecento], che la forma delle cose che ci circondano, […] di tutto ciò che serve per comunicare –ha scritto acutamente Italo Calvino ne Il segreto di Albe Steiner– […] esprima qualcosa, una mentalità e una intenzione, cioè il senso che si vuol dare alla società nell’era della civiltà industriale, quest’idea aveva cominciato a girare in Europa negli anni della sua giovinezza ed era stata decisiva per lui. Direi che in lui questa idea non aveva mai perso la forza di impatto della prima scoperta e non era mai incappata in contraddizioni e in crisi perché per Albe il piacere dell’invenzione formale e il senso globale della trasformazione della società non erano mai separati”.
Nipote di Giacomo Matteotti, Albe Steiner (nato a Milano nel 1913) inizia nel 1933 un’attività plurale di disegno industriale, che si arricchisce della collaborazione della moglie Lica dal 1939, anno in cui si avvicinano al partito comunista, occupandosi con Elio Vittorini di stampa clandestina per tutta la durata della guerra. Partigiano in val d’Ossola con la moglie, Steiner è commissario politico della 85a brigata Garibaldi; nel 1945 perderà il fratello Mino, deportato a Mauthausen, mentre il suocero era scomparso nel settembre del 1943. Subito dopo la fine della guerra, la ripresa del lavoro in ambito grafico –mai del tutto interrotto, anzi: “Se gli piace, insegni pure la grafica ai partigiani esterrefatti, commenta Giorgio Bocca in Una repubblica partigiana”– lo porta a misurarsi con una serie di opportunità, tra le quali spicca la vicenda con Vittorini del «Politecnico», che “è un nodo fondamentale del discorso di Steiner, –rimarcava ancora Paolo Fossati nel 1978– e ne segnerà scelte e soluzioni successive”, con l’idea-guida del ‘redattore grafico’ e “una convinzione tecnico-culturale precisa: i mezzi grafici sono una precisa connotazione di idee, […] il mezzo è messaggio se fa e dice il messaggio”. Non a caso, “nel mio ricordo, la ‘mano’ di Albe mi si impone con la smarginatura alta della testata del «Politecnico», con la tensione introdotta entro la razionalità delle maiuscole. –ha raccontato Franco Fortini– […] Non ebbi dubbi, fin dall’inizio, sul significato di quell’impostazione grafica; intendo, sui contenuti politici che essa convogliava […], i medesimi contenuti che Vittorini voleva per i testi del settimanale: amore per un didattismo tutto positivo, senza oscurità, una sorta di gaiezza pedagogica della linea retta, di polemica della pulizia intellettuale […] No, ci fu una volontà modulare, come un sistema metrico di fondo, una specie di formula di fede riaffermata ad ogni nuovo numero della pubblicazione: ma all’interno di quella le variazioni e le invenzioni sono innumerevoli […] Anche il modulo del mensile (impostato da Steiner prima della sua partenza per il Messico […]) obbedisce all’intento dichiarato di Vittorini e della redazione: concentrazione e ricerca, durata nella riflessione, ostinazione in tempi sempre più avversi”.
È dunque nella Milano del primissimo dopoguerra che Steiner matura una decisione difficile, dopo aver collaborato all’allestimento delle mostre della Liberazione e della Ricostruzione e aver lavorato ad altri importanti progetti grafici, in specie per Einaudi. “Nell’autunno del ’45, con la madre e la figlia Luisa –scrive la figlia Anna Steiner, nata a Città del Messico, nel recente bell’album Albe Steiner– Albe e Lica partono per il Messico, dove vivono i fratelli di Lica, con l’intenzione di riunire, dopo le tragedie della guerra, la famiglia”. È l’inizio della breve avventura in terra messicana, ove Steiner entra subito in contatto con i circoli degli immigrati, frequentando Vittorio Vidali (il comandante Carlos del V reggimento nella guerra civile in Spagna) e Hannes Meyer (direttore del Bauhaus, dal 1928 al 1930, e poi pianificatore in Urss), mentre si inserisce nella società civile e nella cultura locale, collaborando come membro straniero –assieme a Meyer– al Taller de Grafica Popular, di cui eran parte (tra molti altri) grandi artisti dei murales quali Diego Rivera e Alfaro Siqueiros. “In Messico, per iniziativa di un gruppo di pittori, guidati da Leopoldo Mendez, si costituiva nel 1938 il Taller de Grafica Popular (Tgp) –spiega Steiner su «l’Unità» il 10 dicembre 1948– che significa Officina di Grafica Popolare, intendendo per grafica tutte quelle opere artistiche che possono essere facilmente riprodotte in migliaia di copie”; “ho iniziato la mia collaborazione al Taller de Grafica Popular nel 1946 all’epoca del Libro Nero del terrore nazifascista. –continua Steiner nell’intervista di «Rinascita» del 1948– Ci si riuniva una volta alla settimana, si discutevano gli avvenimenti nazionali ed internazionali, si stabiliva chi e come doveva realizzare un giornale murale. I disegni e i testi molte volte sono serviti per migliorare le pubblicazioni ed il grado di preparazione tecnica ed artistica di tutti e di ciascuno”. In effetti, “la presencia de Albe Steiner en el Taller de Grafica Popular –ricorderà Alberto Beltrán nel 1977– fue volviéndose habitual, al principio desconcertaba encontrarse con un artista gráfico de tipo diferente. La mayoria de los miembros del Taller […] sin embargo ignoraban mucho de lo relacionado con las técnicas de reproducción moderna y las disciplinas tipográficas, es dicir todo aquello en que Albe Steiner era un maestro. […] Steiner cordial, animoso siempre, pronto comprendió las caracteristicas del grupo y pudo colaborar con muy buenos resultados. […] Pero sobre todo impresionaba ver su manera de trabajar, la meticulosidad en sus razonamientos para relacionar logicamente el contenido de las ediciones con la forma tipografica”. Pur così impegnato in un’ampia serie di lavori (dall’organo settimanale «PP» del Partido Popular al mensile «Politica», dal mensile «Construyamos Escuelas» per la campagna nazionale di edilizia scolastica –collegata al volume Memoria del Capfcs– ai volumi per la Universidád Obrera di Città del Messico –ov’era lettore–, dalla rivista «Italia Nuova» di Ardi grafica alle «Notizie italiane» della nostra ambasciata, fino a vari manifesti), Steiner aveva mantenuto fitti rapporti con l’Italia: prova ne sia l’impostazione, tra l’altro, della grafica della VIII Triennale con Max Huber. “Vuoi diventare il nostro corrispondente dal Messico? –gli scriveva, nel frattempo, Ernesto Nathan Rogers, invitandolo a collaborare a «Domus», per cui Steiner aveva disegnato delle copertine tra 1942 e 1946, stesso anno in cui ne aveva realizzate anche per «Costruzioni» e subito dopo per «Costruzioni Casabella»– […] Sai già che cosa ci interessa: case, esterni, interni, oggetti e tutto il resto per il quale viviamo […]; la casa dell’uomo, la sedia dell’uomo, la città dell’uomo”. Nel 1948, alla vigilia di elezioni di peculiare rilievo politico, gli Steiner decidono di rientrare in Italia; alla ben nota e straordinaria attività professionale dello studio Steiner da allora in poi, che non è tema ulteriore di questa nota, si affianca immediatamente l’impegno didattico, dapprima al convitto Rinascita, dal 1948 al 1958, e poi (ma non soltanto: dal 1962 al 1971 è docente a Urbino mentre tiene corsi e lezioni anche all’Iuav di Venezia, al politecnico di Torino, e a Parma, Roma, Firenze) all’Umanitaria di Milano, dove Albe è direttore della scuola del libro dal 1959 alla sua scomparsa nel 1974. Nel numero di novembre-dicembre del 1973, «Linea Grafica» pubblica il suo ultimo articolo, Oggi è già domani, scritto in occasione della rassegna di fine anno 1972-73 “e come punto di partenza per precisare i programmi per il 1973-74” della scuola del Libro dell’Umanitaria. “La scuola del Libro –vi si legge– deve dare oggi una preparazione tecnica e culturale di base che permetta allo studente di iniziare l’attività professionale […] sempre tenendo presente che la tecnica e la cultura per domani, per migliorare la società nella quale viviamo, saranno tecnica e cultura ‘diversa’ dalla tecnica e dalla cultura che hanno prodotto la società nella quale non ci riconosciamo idealmente. […] La preparazione dello studente grafico oggi deve essere quindi più culturale per poter progettare modelli validi per domani. […] Grafici non più educati come artefici delle Arti, non più indirizzati al progetto ispirato al ‘bel pezzo’ come il pittore di cavalletto, non più come il ‘designer’ che attraverso il bell’oggetto conforta la società ammalata, non più come uomo elegante, mondano, sorridente, scettico, egoista, narcisista, amante dei formalismi, ‘programmato’, ma grafici che sentano responsabilmente il valore della comunicazione visiva come mezzo che contribuisce a cambiare in meglio le cose peggiori. […] Grafici che sentano che la tecnica è un mezzo per trasmettere cultura e non strumento fine a se stesso per giustificare la sterilità del pensiero o peggio per sollecitare inutili bisogni, per continuare a progettare macchine, teorie, mostre, libri e oggetti inutili”.
Bibliografia essenziale
Max Huber e Lica Steiner (a cura di), Albe Steiner. Comunicazione visiva, Fratelli Alinari, Firenze 1977
Albe Steiner, Il mestiere di grafico, Einaudi, Torino 1978
Lica Steiner e Mario Cresci (a cura di), Albe Steiner. Foto–grafia. Ricerca e progetto, Laterza, Roma–Bari 1990
Anna Steiner, Albe Steiner, Edizioni Corraini, Mantova 2006
Albe Steiner in Messico
“È Hannes Mayer che ha diretto e realizzato la Memoria del Comitato Amministratore del Programma Federale per la Costruzione di Scuole (Capfcs) 1944-1946, pubblicazione di oltre 400 pagine con più di 1000 illustrazioni su quanto in tre anni si era fatto in Messico per la costruzione di edifici scolastici; gli artisti del Taller de Grafica Popular hanno disegnato un aspetto diverso dei diversi Stati, ciascuno con le proprie caratteristiche”. In un’intervista data a Renzo Vespignani per «Rinascita» nel 1948, anno del ritorno in Italia dal Messico, Albe Steiner ricordava così –senza alcun cenno al proprio contributo– la vicenda editoriale che invece lo aveva visto partecipe in prima persona. È lui infatti l’autore della grafica del volume del Capfcs, stampato in un formato orizzontale ad album, connotato come architettonico già prima dell’Œuvre compléte di Corbu, e con una confezione altrettanto caratterizzata: legatura in tela, con impressione a due colori (rosso/nero) del prolisso titolo, e sovracoperta con bandelle. L’archivio Steiner, donato nel 2003 al politecnico di Milano, conserva un documento straordinario del percorso ideativo della pubblicazione e della passione per il mestiere di grafico del progettista: il menabò completo, una di quelle sue “maquetas de las ediciones –come annoterà Alberto Beltrán– […] cuidadosamente hechas”. “Il mestiere del grafico, –notava Paolo Fossati nel 1978– del progettista, trascende sempre, per Steiner, la stessa constatazione formale, che pone il grafico come produttore di oggetti o forme: l’esito non sta nell’oggetto, anche se è esso il luogo produttivo, perché l’oggetto organizza un piano più vasto e più complesso di relazioni e di dati”. Nel contesto specifico dell’esperienza messicana, la visualizzazione preliminare di un artefatto a stampa e le istruzioni per l’esecuzione dell’impaginazione (questa la natura e lo scopo di un menabò) si trasformano in un vero tour-de-force, risultando in uno speciale ‘libro d’artista’ –in questo caso, unicum destinato esclusivamente a guidarne la produzione tecnica–, la cui qualità visiva è inesorabilmente superiore a quella del volume stampato. Dalla prima all’ultima pagina del menabò, con la dedizione e la precisione che reclama la tipografia vissuta come progetto d’informazione e d’orientamento (dell’esecutore, ancor prima del lettore), Steiner meticolosamente schizza e pennella a china ciascuna illustrazione nella posizione e dimensione adatta e, al contempo, riporta a pennino le righe esatte misurate di testo e didascalie, ottenendo un ‘modello’ concreto di libro, di grande efficacia operativa, con cui porta agli estremi una prassi –usuale, per lui e per molti suoi contemporanei– per presentare stampati. Non a caso, poiché: “in Messico –ha ricordato Lica Steiner, a proposito degli arredi ideati per la loro nuova casa-studio in quella terra– a quei tempi gli artigiani erano bravissimi nel loro lavoro […]: a loro serviva il modellino, poi realizzavano l’oggetto con grande accuratezza”.
Esponente tra i maggiori della progettazione grafica (non solo italiana) del secondo novecento, Albe Steiner ne ha incarnato, tra anni quaranta e settanta, una esplicita vocazione politica, intessuta da assunti pedagogici, che marcano l’intero suo itinerario di vita. Riassunta nella formula del “rosso e nero” (facile e fortunata etichetta critica), la ricerca visiva di Steiner attinge dalle esperienze delle avanguardie razional-costruttive europee degli anni venti e trenta –sovietiche e germaniche in specie, da El Lisickij a Tschichold e al Bauhaus (“ricordo ancora d’aver visto per la prima volta nel suo studio, rammenta al proposito Gillo Dorfles, la serie, allora sconosciuta, da noi, dei Bauhausbücher”)– sia motivazioni culturali che principi di chiarezza e rigore, per elaborarli secondo un originale percorso di ricerca (in cui si intrecciano diletto grafico, competenza tipografica, sguardo fotografico) e innestarli nello specifico contesto civile italiano. “Una delle fondamentali idee estetiche del nostro secolo [il novecento], che la forma delle cose che ci circondano, […] di tutto ciò che serve per comunicare –ha scritto acutamente Italo Calvino ne Il segreto di Albe Steiner– […] esprima qualcosa, una mentalità e una intenzione, cioè il senso che si vuol dare alla società nell’era della civiltà industriale, quest’idea aveva cominciato a girare in Europa negli anni della sua giovinezza ed era stata decisiva per lui. Direi che in lui questa idea non aveva mai perso la forza di impatto della prima scoperta e non era mai incappata in contraddizioni e in crisi perché per Albe il piacere dell’invenzione formale e il senso globale della trasformazione della società non erano mai separati”.
Nipote di Giacomo Matteotti, Albe Steiner (nato a Milano nel 1913) inizia nel 1933 un’attività plurale di disegno industriale, che si arricchisce della collaborazione della moglie Lica dal 1939, anno in cui si avvicinano al partito comunista, occupandosi con Elio Vittorini di stampa clandestina per tutta la durata della guerra. Partigiano in val d’Ossola con la moglie, Steiner è commissario politico della 85a brigata Garibaldi; nel 1945 perderà il fratello Mino, deportato a Mauthausen, mentre il suocero era scomparso nel settembre del 1943. Subito dopo la fine della guerra, la ripresa del lavoro in ambito grafico –mai del tutto interrotto, anzi: “Se gli piace, insegni pure la grafica ai partigiani esterrefatti, commenta Giorgio Bocca in Una repubblica partigiana”– lo porta a misurarsi con una serie di opportunità, tra le quali spicca la vicenda con Vittorini del «Politecnico», che “è un nodo fondamentale del discorso di Steiner, –rimarcava ancora Paolo Fossati nel 1978– e ne segnerà scelte e soluzioni successive”, con l’idea-guida del ‘redattore grafico’ e “una convinzione tecnico-culturale precisa: i mezzi grafici sono una precisa connotazione di idee, […] il mezzo è messaggio se fa e dice il messaggio”. Non a caso, “nel mio ricordo, la ‘mano’ di Albe mi si impone con la smarginatura alta della testata del «Politecnico», con la tensione introdotta entro la razionalità delle maiuscole. –ha raccontato Franco Fortini– […] Non ebbi dubbi, fin dall’inizio, sul significato di quell’impostazione grafica; intendo, sui contenuti politici che essa convogliava […], i medesimi contenuti che Vittorini voleva per i testi del settimanale: amore per un didattismo tutto positivo, senza oscurità, una sorta di gaiezza pedagogica della linea retta, di polemica della pulizia intellettuale […] No, ci fu una volontà modulare, come un sistema metrico di fondo, una specie di formula di fede riaffermata ad ogni nuovo numero della pubblicazione: ma all’interno di quella le variazioni e le invenzioni sono innumerevoli […] Anche il modulo del mensile (impostato da Steiner prima della sua partenza per il Messico […]) obbedisce all’intento dichiarato di Vittorini e della redazione: concentrazione e ricerca, durata nella riflessione, ostinazione in tempi sempre più avversi”.
È dunque nella Milano del primissimo dopoguerra che Steiner matura una decisione difficile, dopo aver collaborato all’allestimento delle mostre della Liberazione e della Ricostruzione e aver lavorato ad altri importanti progetti grafici, in specie per Einaudi. “Nell’autunno del ’45, con la madre e la figlia Luisa –scrive la figlia Anna Steiner, nata a Città del Messico, nel recente bell’album Albe Steiner– Albe e Lica partono per il Messico, dove vivono i fratelli di Lica, con l’intenzione di riunire, dopo le tragedie della guerra, la famiglia”. È l’inizio della breve avventura in terra messicana, ove Steiner entra subito in contatto con i circoli degli immigrati, frequentando Vittorio Vidali (il comandante Carlos del V reggimento nella guerra civile in Spagna) e Hannes Meyer (direttore del Bauhaus, dal 1928 al 1930, e poi pianificatore in Urss), mentre si inserisce nella società civile e nella cultura locale, collaborando come membro straniero –assieme a Meyer– al Taller de Grafica Popular, di cui eran parte (tra molti altri) grandi artisti dei murales quali Diego Rivera e Alfaro Siqueiros. “In Messico, per iniziativa di un gruppo di pittori, guidati da Leopoldo Mendez, si costituiva nel 1938 il Taller de Grafica Popular (Tgp) –spiega Steiner su «l’Unità» il 10 dicembre 1948– che significa Officina di Grafica Popolare, intendendo per grafica tutte quelle opere artistiche che possono essere facilmente riprodotte in migliaia di copie”; “ho iniziato la mia collaborazione al Taller de Grafica Popular nel 1946 all’epoca del Libro Nero del terrore nazifascista. –continua Steiner nell’intervista di «Rinascita» del 1948– Ci si riuniva una volta alla settimana, si discutevano gli avvenimenti nazionali ed internazionali, si stabiliva chi e come doveva realizzare un giornale murale. I disegni e i testi molte volte sono serviti per migliorare le pubblicazioni ed il grado di preparazione tecnica ed artistica di tutti e di ciascuno”. In effetti, “la presencia de Albe Steiner en el Taller de Grafica Popular –ricorderà Alberto Beltrán nel 1977– fue volviéndose habitual, al principio desconcertaba encontrarse con un artista gráfico de tipo diferente. La mayoria de los miembros del Taller […] sin embargo ignoraban mucho de lo relacionado con las técnicas de reproducción moderna y las disciplinas tipográficas, es dicir todo aquello en que Albe Steiner era un maestro. […] Steiner cordial, animoso siempre, pronto comprendió las caracteristicas del grupo y pudo colaborar con muy buenos resultados. […] Pero sobre todo impresionaba ver su manera de trabajar, la meticulosidad en sus razonamientos para relacionar logicamente el contenido de las ediciones con la forma tipografica”. Pur così impegnato in un’ampia serie di lavori (dall’organo settimanale «PP» del Partido Popular al mensile «Politica», dal mensile «Construyamos Escuelas» per la campagna nazionale di edilizia scolastica –collegata al volume Memoria del Capfcs– ai volumi per la Universidád Obrera di Città del Messico –ov’era lettore–, dalla rivista «Italia Nuova» di Ardi grafica alle «Notizie italiane» della nostra ambasciata, fino a vari manifesti), Steiner aveva mantenuto fitti rapporti con l’Italia: prova ne sia l’impostazione, tra l’altro, della grafica della VIII Triennale con Max Huber. “Vuoi diventare il nostro corrispondente dal Messico? –gli scriveva, nel frattempo, Ernesto Nathan Rogers, invitandolo a collaborare a «Domus», per cui Steiner aveva disegnato delle copertine tra 1942 e 1946, stesso anno in cui ne aveva realizzate anche per «Costruzioni» e subito dopo per «Costruzioni Casabella»– […] Sai già che cosa ci interessa: case, esterni, interni, oggetti e tutto il resto per il quale viviamo […]; la casa dell’uomo, la sedia dell’uomo, la città dell’uomo”. Nel 1948, alla vigilia di elezioni di peculiare rilievo politico, gli Steiner decidono di rientrare in Italia; alla ben nota e straordinaria attività professionale dello studio Steiner da allora in poi, che non è tema ulteriore di questa nota, si affianca immediatamente l’impegno didattico, dapprima al convitto Rinascita, dal 1948 al 1958, e poi (ma non soltanto: dal 1962 al 1971 è docente a Urbino mentre tiene corsi e lezioni anche all’Iuav di Venezia, al politecnico di Torino, e a Parma, Roma, Firenze) all’Umanitaria di Milano, dove Albe è direttore della scuola del libro dal 1959 alla sua scomparsa nel 1974. Nel numero di novembre-dicembre del 1973, «Linea Grafica» pubblica il suo ultimo articolo, Oggi è già domani, scritto in occasione della rassegna di fine anno 1972-73 “e come punto di partenza per precisare i programmi per il 1973-74” della scuola del Libro dell’Umanitaria. “La scuola del Libro –vi si legge– deve dare oggi una preparazione tecnica e culturale di base che permetta allo studente di iniziare l’attività professionale […] sempre tenendo presente che la tecnica e la cultura per domani, per migliorare la società nella quale viviamo, saranno tecnica e cultura ‘diversa’ dalla tecnica e dalla cultura che hanno prodotto la società nella quale non ci riconosciamo idealmente. […] La preparazione dello studente grafico oggi deve essere quindi più culturale per poter progettare modelli validi per domani. […] Grafici non più educati come artefici delle Arti, non più indirizzati al progetto ispirato al ‘bel pezzo’ come il pittore di cavalletto, non più come il ‘designer’ che attraverso il bell’oggetto conforta la società ammalata, non più come uomo elegante, mondano, sorridente, scettico, egoista, narcisista, amante dei formalismi, ‘programmato’, ma grafici che sentano responsabilmente il valore della comunicazione visiva come mezzo che contribuisce a cambiare in meglio le cose peggiori. […] Grafici che sentano che la tecnica è un mezzo per trasmettere cultura e non strumento fine a se stesso per giustificare la sterilità del pensiero o peggio per sollecitare inutili bisogni, per continuare a progettare macchine, teorie, mostre, libri e oggetti inutili”.
Bibliografia essenziale
Max Huber e Lica Steiner (a cura di), Albe Steiner. Comunicazione visiva, Fratelli Alinari, Firenze 1977
Albe Steiner, Il mestiere di grafico, Einaudi, Torino 1978
Lica Steiner e Mario Cresci (a cura di), Albe Steiner. Foto–grafia. Ricerca e progetto, Laterza, Roma–Bari 1990
Anna Steiner, Albe Steiner, Edizioni Corraini, Mantova 2006