[2004#07] 24 grafici italiani
Elegante, mondano, sorridente, scettico, egoista, narcisista…
Son passati 7 anni dalla puntata precedente; tanta acqua è passata sotto i ponti e per le calli che ha fatto tempo ad asciugarsi. Ognitanto è utile fare il punto; perciò si fa un libro come questo. Tuttavia, non è che sia successo granché nel campo della grafica, né in Italia né altrove. Forse è bene così; altrimenti, ci occuperemmo di questioni di moda, che a ogni stagione deve (fingere di) cambiare. Sarà anche che, da quando è cominciato il tanto atteso nuovo millennio, il mondo par più del solito pieno di guai, nefandezze e misfatti, conditi da slogan mistifici e verità pretese, con un penetrante profumo di conformismo e di ritorno all’ordine: la grafica si adegua, né può far altro. Tutti in riga. Gli altri a casa.
Negli anni novanta del secolo scorso il digitale, il computer hanno cambiato gli strumenti del fare (grafica), portandosi dietro qualche innovazione, molto fumo e una discreta confusione; ma anche notevoli possibilità, rimaste in massima parte virtualità. Gli strumenti son semplicemente parte (attiva, operativa, trasformativa) di una cultura; senza cultura, non funzionano (e non capiamo a che cosa servano); con scarsa cultura, funzionano male. Mettiamola così: basta dare a tutti un pianoforte, dimenticandosi solfeggio e teoria, per aver una generazione di concertisti o almeno di pianisti? Senza educazione, studio e applicazione (si dura fatica, purtroppo), ne è venuta fuori una generazione di improvvisatori, a orecchio nei casi migliori, maleducati in genere, ignari di armonia composizione ritmo.
Gli altri (quelli delle generazioni precedenti, più o meno sempre gli stessi, ovviamente) si son dovuti adattare alla trasmutazione tecnologica, chi bene, chi male, chi è rimasto qual era, chi s’è trovato spiazzato; i risultati si vedono e si vendono – e questo ci basta. La maleducazione invece, si sa, va a braccetto con la volgarità, il malgusto e l’arroganza; conseguenza: a sentire i chiaccheroni, il menu grafico d’oggi è ricco di creatività, innovazione, comunicazione, conditi al sugo di mercato. Ci siam riempiti di prodotti ma pare abbiam perso i servizi, in cambio: anche l’idea della grafica come servizio sembra caduta nel dimenticatoio. Per imparare ci vuol tempo e impegno; invece, peana al far-subito-da-sé, osanna al far-presto-e-di-tutto e (sul versante formativo) inni agli workshop: in 3, max 6 giorni si fa il progetto e impari. Con questo, si è allevata, e si continua ad allevare, la maleducata generazione di cui sopra, convincendola d’esser ricca di geni, destinati ad illuminarci con l’immensità dell’autoespressione, con il tormento delle private passioni, con il sapere dei poetici lor linguaggi individuali. Per caso, non sarà segno di un ritorno, in tempi di grigia restaurazione come quelli attuali, a un’idea romantica (muffosetta ma in apparenza immarcescibile quanto imbelle) di artista?
Pensiamo al futuro, a quello prossimo: si può immaginare un altro tipo di grafici, una diversa accezione di progettisti di artefatti, in generale. Di quali avremmo vieppiù bisogno, oggi? Forse il problema è ancora lo stesso di cui Albe Steiner scriveva, trenta e passa anni fa: “Grafici non più educati come artefici delle Arti, non più indirizzati al progetto ispirato al ‘bel pezzo’ come il pittore di cavalletto, non più come il ‘designer’ che attraverso il bell’oggetto conforta la società ammalata, non più come uomo elegante, mondano, sorridente, scettico, egoista, narcisista, amante dei formalismi, ‘programmato’, ma grafici che sentano responsabilmente il valore della comunicazione visiva come mezzo che contribuisce a cambiare in meglio le cose peggiori […] Grafici che sentano che la tecnica è un mezzo per trasmettere cultura e non strumento fine a se stesso per giustificare la sterilità del pensiero o peggio per sollecitare inutili bisogni, per continuare a progettare macchine, teorie, mostre, libri e oggetti inutili”.
[Elegante, mondano, sorridente, scettico, egoista, narcisista… in G. Camuffo (a cura di), Red, wine ad green. 24 Italian Graphic Designers, Studio Camuffo, Venezia 2004, pp. 22-23]
Son passati 7 anni dalla puntata precedente; tanta acqua è passata sotto i ponti e per le calli che ha fatto tempo ad asciugarsi. Ognitanto è utile fare il punto; perciò si fa un libro come questo. Tuttavia, non è che sia successo granché nel campo della grafica, né in Italia né altrove. Forse è bene così; altrimenti, ci occuperemmo di questioni di moda, che a ogni stagione deve (fingere di) cambiare. Sarà anche che, da quando è cominciato il tanto atteso nuovo millennio, il mondo par più del solito pieno di guai, nefandezze e misfatti, conditi da slogan mistifici e verità pretese, con un penetrante profumo di conformismo e di ritorno all’ordine: la grafica si adegua, né può far altro. Tutti in riga. Gli altri a casa.
Negli anni novanta del secolo scorso il digitale, il computer hanno cambiato gli strumenti del fare (grafica), portandosi dietro qualche innovazione, molto fumo e una discreta confusione; ma anche notevoli possibilità, rimaste in massima parte virtualità. Gli strumenti son semplicemente parte (attiva, operativa, trasformativa) di una cultura; senza cultura, non funzionano (e non capiamo a che cosa servano); con scarsa cultura, funzionano male. Mettiamola così: basta dare a tutti un pianoforte, dimenticandosi solfeggio e teoria, per aver una generazione di concertisti o almeno di pianisti? Senza educazione, studio e applicazione (si dura fatica, purtroppo), ne è venuta fuori una generazione di improvvisatori, a orecchio nei casi migliori, maleducati in genere, ignari di armonia composizione ritmo.
Gli altri (quelli delle generazioni precedenti, più o meno sempre gli stessi, ovviamente) si son dovuti adattare alla trasmutazione tecnologica, chi bene, chi male, chi è rimasto qual era, chi s’è trovato spiazzato; i risultati si vedono e si vendono – e questo ci basta. La maleducazione invece, si sa, va a braccetto con la volgarità, il malgusto e l’arroganza; conseguenza: a sentire i chiaccheroni, il menu grafico d’oggi è ricco di creatività, innovazione, comunicazione, conditi al sugo di mercato. Ci siam riempiti di prodotti ma pare abbiam perso i servizi, in cambio: anche l’idea della grafica come servizio sembra caduta nel dimenticatoio. Per imparare ci vuol tempo e impegno; invece, peana al far-subito-da-sé, osanna al far-presto-e-di-tutto e (sul versante formativo) inni agli workshop: in 3, max 6 giorni si fa il progetto e impari. Con questo, si è allevata, e si continua ad allevare, la maleducata generazione di cui sopra, convincendola d’esser ricca di geni, destinati ad illuminarci con l’immensità dell’autoespressione, con il tormento delle private passioni, con il sapere dei poetici lor linguaggi individuali. Per caso, non sarà segno di un ritorno, in tempi di grigia restaurazione come quelli attuali, a un’idea romantica (muffosetta ma in apparenza immarcescibile quanto imbelle) di artista?
Pensiamo al futuro, a quello prossimo: si può immaginare un altro tipo di grafici, una diversa accezione di progettisti di artefatti, in generale. Di quali avremmo vieppiù bisogno, oggi? Forse il problema è ancora lo stesso di cui Albe Steiner scriveva, trenta e passa anni fa: “Grafici non più educati come artefici delle Arti, non più indirizzati al progetto ispirato al ‘bel pezzo’ come il pittore di cavalletto, non più come il ‘designer’ che attraverso il bell’oggetto conforta la società ammalata, non più come uomo elegante, mondano, sorridente, scettico, egoista, narcisista, amante dei formalismi, ‘programmato’, ma grafici che sentano responsabilmente il valore della comunicazione visiva come mezzo che contribuisce a cambiare in meglio le cose peggiori […] Grafici che sentano che la tecnica è un mezzo per trasmettere cultura e non strumento fine a se stesso per giustificare la sterilità del pensiero o peggio per sollecitare inutili bisogni, per continuare a progettare macchine, teorie, mostre, libri e oggetti inutili”.
[Elegante, mondano, sorridente, scettico, egoista, narcisista… in G. Camuffo (a cura di), Red, wine ad green. 24 Italian Graphic Designers, Studio Camuffo, Venezia 2004, pp. 22-23]
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