14.12.04

[2004#05] f2f04


Nel 2000, da maggio a novembre, la Kunst- und Austellungshalle di Bonn ospitò Design 4:3, una grande mostra di disegno industriale (dal titolo palesemente ispirato al risultato di un celeberrimo incontro di calcio), che propose un significativo confronto a tutto spettro tra la situazione tedesca e quella italiana degli ultimi 50 anni. Dal 2001, per parte sua, il Design Center di Stuttgart promuove annualmente Face to Face, una manifestazione-convegno che intende fare il punto nel campo della progettazione visuale, mettendo a confronto lo stato dell’arte in Germania e in un altro paese ma anche esaminando (l’allusione del faccia-a-faccia nel titolo è duplice) casi esemplari di rapporto tra committente e progettista, che presentano congiuntamente i lavori in esame. La prima edizione di Face to Face ha visto nel 2001 come partner la Gran Bretagna (pel tramite del Design Council); nel 2002 è stato il turno dell’Olanda (grazie al Bno) e nel 2003 della Spagna (attraverso il Design Center madrileno). Dal 19 al 20 marzo 2004, tocca all’Italia (la cui presenza è organizzata dall’Aiap) il confronto con la Germania. Nei due giorni della manifestazione, per la modica cifra di 180 euro (studenti 90), tra l’altro i partecipanti possono seguire, sul versante italiano, 8 nostrane case histories, selezionate e introdotte da Carlo Branzaglia, nonché visitare le mostre Italic 1.0, il disegno di caratteri contemporaneo in Italia (a cura di Mario Piazza, Silvia Sfligiotti e Paola Lenarduzzi - presentata nel 2002 a Roma) e La Faccia dell’energia (a cura di Luciano Ferro e Mario Piazza – presentata per le celebrazioni voltiane nel 2000). Il tutto ben si attaglia all’impostazione professional-promozionale di Face to Face e presumibilmente corrisponde appieno alle aspettative in gioco, anche se non esime da qualche considerazione al margine. Il Design Center di Stuttgart (online DCS ) informa infatti che Face to Face è “one of Europe's foremost conferences on visual communication” e della “comunicazione visiva” in questione esemplifica la gamma: “ranging from corporate design via packaging and the presentation of goods in trade, signposting systems and electronic media to lifestyle and entertainment”. Da questa definizione quantomeno ecumenica dell’oggetto della manifestazione si evince che i promotori sono convinti di una identità immediata tra comunicazione visiva e progettazione grafica: luogo comune, non nuovissimo, assai diffuso ma non perciò meno pernicioso – non diverso, a suo modo, dalla ingenua e ossessiva identificazione tra pubblicità e grafica. È innegabile: la grafica (nell’accezione di progettazione visiva) contemporanea vive una stagione confusa, in cui rivendica legittimità nei confronti di ogni fenomeno comunicativo (termine in sé di estensione prossima all’illimitato) connotato da visibilità, onde si immagina che presto annetterà cinema e televisione, mentre pateticamente già si va proclamando una supponente sua autonomia artistica. Inneggiata in nome delle ibridazioni (dimenticando che ibrido vuol dire sterile), questa confusione di ruoli è aggravata da una penosa rincorsa delle mode e dalla inutile attrazione per le tendenze del momento. Ammettendo (personalmente, non ho né preconcetti né ortodossie da difendere) che sia un’attività progettuale indirizzata al problem solving, la grafica contemporanea dovrebbe individuare con maggiore chiarezza e lucidità le proprie competenze, i propri limiti, i propri assetti operativi, nonché la natura dei problemi che intende affrontare; altrimenti, rischia una delegittimazione ancor più pesante dell’attuale, in un’illusiva volontà di potenza. Come in altre professioni progettuali, è probabile, se non certo, che la qualità del committente sia la prima garanzia di buona riuscita e l’impegno di Face to Face nell’esplorare questa relazione è un’indicazione pienamente condivisibile. Non si può, tuttavia, misurare il rapporto cliente-designer aldifuori del contesto culturale in cui si esplica e agisce: non è il progettista a scegliere il committente. La civiltà visuale di un paese si misura oggettivamente tanto nella distribuzione e nella diffusione qualitativa degli artefatti grafici, quanto nella sensibilità e nella fiducia generale nella efficacia delle strategie e delle soluzioni grafiche. Se è vero che occorrono grandi committenze, per grandi opere di civilizzazione visuale, nel panorama di sconfortante povertà grafica dell’Italia di oggi, le eccezioni non confermano alcuna regola.

[Face to Face a Stoccarda, in “Il giornale dell’architettura” (Torino), 2004, 16, marzo, pp. 39 e 43]
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