[2004#04] ancora su nizzoli & c.
Tema del mio intervento è la grafica de “L’architettura – cronache e storia”.
Sia pur brevissimamente, è opportuno chiarire subito l’accezione, forse non ovvia, con cui uso la parola ‘grafica’. Ricollegandomi all’etimo greco (cioè sia ‘scrivere’ che ‘dipingere’), intendo per ‘grafica’ l’insieme progettato di tipo-grafia e foto-grafia: l’amalgama testo + illustrazione, la visibile rappresentazione di parole e di figure; da un punto di vista complementare, questa ‘grafica’ non è altro che carta e inchiostro. Naturalmente, mi riferisco alla grafica editoriale moderna, industriale, meccanica, ossia a una forma di produzione seriale di artefatti. È il numero, la quantità a far la serie e, quando la tiratura (il numero di una serie) è elevata, come nel caso de L’architettura – cronache e storia, i processi produttivi definiscono anche dei precisi vincoli per la progettazione visuale, sia per l’interno (impaginazione) che per l’esterno (copertine), nonché per il formato e la confezionatura.
Scriveva Nizzoli, nel 1955, anno di avvio de L’architettura – cronache e storia:
“Io penso che ogni problema di industrial design conduca il designer a seguire una diversa procedura, anzi che il valore di un buon disegno dipenda alla base dal rapporto tra il metodo seguito e la forma del prodotto disegnato. Lo scopo è raggiunto quando il designer è riuscito a tener presente tutti i condizionamenti e a farli diventare elementi che concorrono alla sua visione del prodotto […] Insomma la forma è quella che unifica e esprime tutti gli aspetti, anche talvolta contrastanti, e caratterizza un prodotto”.
Nel colophon del primo numero de L’architettura – cronache e storia i crediti di progettazione visuale sono così riconosciuti: “copertina Marcello Nizzoli, impaginazione Max Huber”.
In un dattiloscritto su Max Huber, Bruno Zevi racconta un significativo episodio della genesi de L’architettura – cronache e storia: “«E se cambiassimo formato? Potremmo addirittura adottare le dimensioni delle grandi riviste internazionali» dissi timidamente a Max, tanto per tastare il polso. «È un’ottima idea, cambiamo pure formato». Lo guardai sorpreso: «ma l’impaginazione del primo numero è già fatta e i cliché sono ingranditi. Se cambiamo l’impaginazione le fotografie parranno troppo piccole e tu ci farai brutta figura». «Non fa niente - rispose Max - se è utile per la rivista cambiamo pure il formato». Avevo pensato di conservare il formato di Metron la rivista che avevamo diretto per 10 anni dal ‘45 al ‘55. Avevamo impaginato tutto il primo numero secondo il formato di Metron e solo pochi giorni prima di andare in stampa mi ero accorto che forse per fare una grande rivista di architettura era meglio ingrandirlo. Quale altro grafico, quale altro artista avrebbe accettato, così alla fine, improvvisamente, di cambiare formato?”.
Vicende non inusuali nella vita di una rivista e dalle quali emerge una (inedita prova di diretta) parentela de L’architettura – cronache e storia con Metron e, assieme, il (poco noto) ruolo nella vicenda di Max Huber, carismatico personaggio che ha dato un contributo fondamentale alla grafica italiana del dopoguerra, progettando tra l’altro, nello stesso torno di tempo in cui L’architettura – cronache e storia viene alla luce, collane (per Einaudi) e riviste (“Aut Aut”, “Il Caffè”), famosi marchi (la Rinascente, Coin, Nava, Esselunga) e celebri manifesti (Triennale di Milano, autodromo di Monza).
La storia delle copertine de L’architettura – cronache e storia inizia, lo sappiamo dalle parole di Zevi, con il cambio di formato rispetto a Metron, la prima rivista di architettura italiana, uscita dal 1945 al 1954 in due serie: la prima di formato piccolo; la seconda di formato medio (25 x 44 cm), pubblicata dalle edizioni di Comunità, cioè da Olivetti.
Nizzoli curava le copertine di Metron dal 1952, insieme a Mario Oliveri, che lavorava con lui da qualche anno. La testata è composta con un carattere lineare di fine ottocento, il Doric 1; nella copertina si nota anche un carattere connotato quale il Normandia.
Tra Metron e L’architettura – cronache e storia la continuità visiva è in effetti molto forte, per quanto riguarda la copertina: l’immagine dell’ultimo Metron si sovrappone quasi alla prima de L’architettura – cronache e storia. La continuità, del resto, si riscontra anche nella scelta tipografica, nel ricorso agli stessi caratteri. La copertina de L’architettura – cronache e storia potremmo dire perciò che è figlia, o forse sorella più giovane, di Metron.
Ma in quali progetti grafici era impegnato, in quegli anni, Marcello Nizzoli? Tra vari lavori si nota una rivista (fondata da Adriano Olivetti nel 1937), intitolata Tecnica dell’Organizzazione, che cura dal 1950 al 1958, con la collaborazione per l’impaginazione anche di Gae Aulenti. Mettendo a diretto confronto Metron e Tecnica dell’Organizzazione si ritrova lo stesso tipo di impostazione: stesso carattere tipografico e stesso formato, analoga soluzione autorial-autonoma di copertina. Bisogna ricordare, se mai ce ne fosse bisogno, che Nizzoli era anche un pittore raffinato, oltre che un grande disegnatore industriale. Sua, per restare in campo grafico, è anche la versione labirintica, a spirale quadrata del marchio Olivetti del 1956, “inizio senza fine”, come annota Nizzoli.
Le copertine di Nizzoli si offrono come multipli industriali di artista, caratterizzati da minima forma ed economia di mezzi, coerenti con l’artefatto. La copertina è intesa quasi alla lettera: semplicemente ma non banalmente copre; non è una finestra indiscreta e parziale sull’interno. Con un approccio autoriflessivo e sofisticato, Nizzoli riconosce alla copertina la sua natura e funzione prima, ossia di involucrare, facendone al contempo occasione per sperimentare una grafica moltiplicata. Il “buon disegno” dell’artefatto industriale consente variazioni incessanti, con cui modulare a tema l’invenzione pacata che si snoda lungo tutta la serie delle copertine de L’architettura – cronache e storia. Di fatto, Nizzoli agisce all’interno di ragionamenti sull’arte contemporanea tra i più interessanti: la copertina è un artefatto che nasce per essere riprodotto, senza nostalgie auratiche…
Sappiamo che Nizzoli è stato il responsabile delle copertine de L’architettura – cronache e storia fino al numero 112; dal 112, l’impressionante sequenza delle copertine (quasi mezzo migliaio) continua per mano di Oliveri, che muove nel corso degli anni dapprima verso un fondersi di ricerche sul percettivo con la rappresentazione dell’oggetto architettonico o industriale, riducendo la cromia al solo nero. Più avanti riappare il colore, con riferimenti che oscillano dall’informale al garbatamente fitomorfico; con le serie curate da Oliveri e collaboratori, infine, le variazioni non hanno più un ciclo fisso annuale. Negli anni settanta, infatti, dalla modulazione di base con la partitura di un elemento dinamico, organico, fortemente pittorico, si passa ad elementi inerenti al contenuto, utilizzandone frammenti e tracce. In una serie successiva, le elaborazioni di copertina lavorano su elementi che fanno ironico riferimento alla figuratività contemporanea; si affianca a ciò una sorta di irruzione della scrittura manuale, della chirografia, nelle copertine, attenuando il ruolo dell’immagine come illustrazione e aumentando quello della scrittura come figura.
Ma l’imprinting iniziale, l’intuizione originaria di Nizzoli: concepire la copertina come un multiplo industriale d’arte, resta la base strutturale di tutte queste variazioni, in una vicenda che nella storia della grafica contemporanea rappresenta un vero unicum.

Sia pur brevissimamente, è opportuno chiarire subito l’accezione, forse non ovvia, con cui uso la parola ‘grafica’. Ricollegandomi all’etimo greco (cioè sia ‘scrivere’ che ‘dipingere’), intendo per ‘grafica’ l’insieme progettato di tipo-grafia e foto-grafia: l’amalgama testo + illustrazione, la visibile rappresentazione di parole e di figure; da un punto di vista complementare, questa ‘grafica’ non è altro che carta e inchiostro. Naturalmente, mi riferisco alla grafica editoriale moderna, industriale, meccanica, ossia a una forma di produzione seriale di artefatti. È il numero, la quantità a far la serie e, quando la tiratura (il numero di una serie) è elevata, come nel caso de L’architettura – cronache e storia, i processi produttivi definiscono anche dei precisi vincoli per la progettazione visuale, sia per l’interno (impaginazione) che per l’esterno (copertine), nonché per il formato e la confezionatura.
Scriveva Nizzoli, nel 1955, anno di avvio de L’architettura – cronache e storia:
“Io penso che ogni problema di industrial design conduca il designer a seguire una diversa procedura, anzi che il valore di un buon disegno dipenda alla base dal rapporto tra il metodo seguito e la forma del prodotto disegnato. Lo scopo è raggiunto quando il designer è riuscito a tener presente tutti i condizionamenti e a farli diventare elementi che concorrono alla sua visione del prodotto […] Insomma la forma è quella che unifica e esprime tutti gli aspetti, anche talvolta contrastanti, e caratterizza un prodotto”.
Nel colophon del primo numero de L’architettura – cronache e storia i crediti di progettazione visuale sono così riconosciuti: “copertina Marcello Nizzoli, impaginazione Max Huber”.
In un dattiloscritto su Max Huber, Bruno Zevi racconta un significativo episodio della genesi de L’architettura – cronache e storia: “«E se cambiassimo formato? Potremmo addirittura adottare le dimensioni delle grandi riviste internazionali» dissi timidamente a Max, tanto per tastare il polso. «È un’ottima idea, cambiamo pure formato». Lo guardai sorpreso: «ma l’impaginazione del primo numero è già fatta e i cliché sono ingranditi. Se cambiamo l’impaginazione le fotografie parranno troppo piccole e tu ci farai brutta figura». «Non fa niente - rispose Max - se è utile per la rivista cambiamo pure il formato». Avevo pensato di conservare il formato di Metron la rivista che avevamo diretto per 10 anni dal ‘45 al ‘55. Avevamo impaginato tutto il primo numero secondo il formato di Metron e solo pochi giorni prima di andare in stampa mi ero accorto che forse per fare una grande rivista di architettura era meglio ingrandirlo. Quale altro grafico, quale altro artista avrebbe accettato, così alla fine, improvvisamente, di cambiare formato?”.
Vicende non inusuali nella vita di una rivista e dalle quali emerge una (inedita prova di diretta) parentela de L’architettura – cronache e storia con Metron e, assieme, il (poco noto) ruolo nella vicenda di Max Huber, carismatico personaggio che ha dato un contributo fondamentale alla grafica italiana del dopoguerra, progettando tra l’altro, nello stesso torno di tempo in cui L’architettura – cronache e storia viene alla luce, collane (per Einaudi) e riviste (“Aut Aut”, “Il Caffè”), famosi marchi (la Rinascente, Coin, Nava, Esselunga) e celebri manifesti (Triennale di Milano, autodromo di Monza).
La storia delle copertine de L’architettura – cronache e storia inizia, lo sappiamo dalle parole di Zevi, con il cambio di formato rispetto a Metron, la prima rivista di architettura italiana, uscita dal 1945 al 1954 in due serie: la prima di formato piccolo; la seconda di formato medio (25 x 44 cm), pubblicata dalle edizioni di Comunità, cioè da Olivetti.
Nizzoli curava le copertine di Metron dal 1952, insieme a Mario Oliveri, che lavorava con lui da qualche anno. La testata è composta con un carattere lineare di fine ottocento, il Doric 1; nella copertina si nota anche un carattere connotato quale il Normandia.
Tra Metron e L’architettura – cronache e storia la continuità visiva è in effetti molto forte, per quanto riguarda la copertina: l’immagine dell’ultimo Metron si sovrappone quasi alla prima de L’architettura – cronache e storia. La continuità, del resto, si riscontra anche nella scelta tipografica, nel ricorso agli stessi caratteri. La copertina de L’architettura – cronache e storia potremmo dire perciò che è figlia, o forse sorella più giovane, di Metron.
Ma in quali progetti grafici era impegnato, in quegli anni, Marcello Nizzoli? Tra vari lavori si nota una rivista (fondata da Adriano Olivetti nel 1937), intitolata Tecnica dell’Organizzazione, che cura dal 1950 al 1958, con la collaborazione per l’impaginazione anche di Gae Aulenti. Mettendo a diretto confronto Metron e Tecnica dell’Organizzazione si ritrova lo stesso tipo di impostazione: stesso carattere tipografico e stesso formato, analoga soluzione autorial-autonoma di copertina. Bisogna ricordare, se mai ce ne fosse bisogno, che Nizzoli era anche un pittore raffinato, oltre che un grande disegnatore industriale. Sua, per restare in campo grafico, è anche la versione labirintica, a spirale quadrata del marchio Olivetti del 1956, “inizio senza fine”, come annota Nizzoli.
Le copertine di Nizzoli si offrono come multipli industriali di artista, caratterizzati da minima forma ed economia di mezzi, coerenti con l’artefatto. La copertina è intesa quasi alla lettera: semplicemente ma non banalmente copre; non è una finestra indiscreta e parziale sull’interno. Con un approccio autoriflessivo e sofisticato, Nizzoli riconosce alla copertina la sua natura e funzione prima, ossia di involucrare, facendone al contempo occasione per sperimentare una grafica moltiplicata. Il “buon disegno” dell’artefatto industriale consente variazioni incessanti, con cui modulare a tema l’invenzione pacata che si snoda lungo tutta la serie delle copertine de L’architettura – cronache e storia. Di fatto, Nizzoli agisce all’interno di ragionamenti sull’arte contemporanea tra i più interessanti: la copertina è un artefatto che nasce per essere riprodotto, senza nostalgie auratiche…
Sappiamo che Nizzoli è stato il responsabile delle copertine de L’architettura – cronache e storia fino al numero 112; dal 112, l’impressionante sequenza delle copertine (quasi mezzo migliaio) continua per mano di Oliveri, che muove nel corso degli anni dapprima verso un fondersi di ricerche sul percettivo con la rappresentazione dell’oggetto architettonico o industriale, riducendo la cromia al solo nero. Più avanti riappare il colore, con riferimenti che oscillano dall’informale al garbatamente fitomorfico; con le serie curate da Oliveri e collaboratori, infine, le variazioni non hanno più un ciclo fisso annuale. Negli anni settanta, infatti, dalla modulazione di base con la partitura di un elemento dinamico, organico, fortemente pittorico, si passa ad elementi inerenti al contenuto, utilizzandone frammenti e tracce. In una serie successiva, le elaborazioni di copertina lavorano su elementi che fanno ironico riferimento alla figuratività contemporanea; si affianca a ciò una sorta di irruzione della scrittura manuale, della chirografia, nelle copertine, attenuando il ruolo dell’immagine come illustrazione e aumentando quello della scrittura come figura.
Ma l’imprinting iniziale, l’intuizione originaria di Nizzoli: concepire la copertina come un multiplo industriale d’arte, resta la base strutturale di tutte queste variazioni, in una vicenda che nella storia della grafica contemporanea rappresenta un vero unicum.
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