[2004#02] susan kare
La qualifica ufficiale della sua professione è gui designer, ove l’acronimo gui sta per graphical user interface. Traducendo nel gergo tecnico italiano, Susan Kare è una progettista di interfacce-utente grafiche: definizione complicata e piuttosto infelice, che non rende molto l’idea del lavoro in questione. Per esser chiari, l’interfaccia grafica è ciò che permette a un operatore di controllare un computer manipolando segni/simboli rappresentati sul monitor, di solito per mezzo di un mouse o di una trackball, comunque di un puntatore. In ogni caso, basti sapere che, dagli anni ottanta, Kare si è dedicata al disegno di ciò che appare sullo schermo dei computer; in particolare, si è applicata a quella caratterizzante gamma di icone, per lo più attive e cliccabili, con cui si opera in metaforiche scrivanie –ben le si attaglia, quindi, una più puntuale definizione di icon designer. Al suo attivo, Kare ha infatti un invidiabile repertorio di oltre 2000 icone, frutto di un paziente e assiduo lavoro di invenzione di immagini-parole semplici ed efficaci, all’egida del senso comune, per giganti dell’informatica contemporanea, quali Apple Computer, Autodesk, Electronic Arts, Ibm, Intel, Intuit, Microsoft, Motorola, Oracle, Palm, PeopleSoft, Sun Microsystems e Xerox, nonché per altri committenti di prestigio, quali AT&T, Fidelity Investments, The Getty Technology Group e Sony Pictures, tra altri. «Alcune icone sono facili da disegnare –spiega Kare– perché sono nomi (un calendario, da esempio, per le scadenze temporali). I verbi son difficili, invece. Un comando come undo, ossia cancella l’ultima operazione e ripristina lo stato precedente, è particolarmente complicato. Da anni mi scontro con la visualizzazione di undo».
Per quanto possa sembrare paradossale, l’incontro di Kare con l’industria informatica è stato del tutto casuale. Dopo aver conseguito il B.A., summa cum laude, dal Mount Holyoke College, e poi sia il M.A. che il Ph.D. in Fine Arts presso la New York University nel 1978, con una tesi sullo humour nella scultura dell’ottocento (relatrice Marilynn Karp), Kare era alla ricerca di una sistemazione accademica o museale. Trasferitasi nel 1981 nella Bay Area, lavora brevemente come assistente curatrice presso il Fine Arts Museums of San Francisco e poi si dedica alla scultura in un atelier a Palo Alto. Nel 1983 lascia l’atelier per far parte per la Apple Computer del progetto Macintosh, che raggiungerà il mercato nel 1984. Un suo compagno di liceo di Filadelfia, Andy Hertzfeld, tra i primi sviluppatori software dell’innovativo personal computer dotato di interfaccia grafica, la convince a disegnare le icone e i caratteri per la rivoluzionaria tecnologia point-and-click. Inizia con il carattere Elefont, poi Chicago (seguiranno Geneva e S. Francisco), e impara così le tecniche della grafica bitmap, a mappa di punti, che richiedono di accendere o spegnere una serie di pixel sullo schermo per comporre un segno, un po’ come nei graticci del cucito decorativo e dei punti ornamentali, alla ricerca del risultato più convincente, poiché «le icone migliori sono più simili a segnali stradali che a illustrazioni; teoricamente, dovrebbero presentare un’idea in modo chiaro, conciso e memorabile». Le icone del Mac sono state disegnate ciascuna entro una grliglia di 30 x 30 pixel, in tutto 900 punti: «sto attenta ad ogni singolo punto;» commentava Kare con femminile charme «se vi piacciono i punti ad ago-e-filo, amerete il disegno a mappa di punti del computer». I risultati del lillipuziano pointillisme di Kare quale Creative Director della Apple Computer fino al 1986, quando lascia l’impresa con Steve Jobs per diventare Creative Director presso la NeXT Inc., sono veramente memorabili e, a buon diritto, fanno ormai parte dell’immaginario contemporaneo, seppur apparentemente adespoti. Chi non conosce, tuttavia, il cestino della spazzatura (ove trascinare i files da cancellare –il precedente dello Xerox Parc non è confrontabile, sul piano visuale) o l’orologino da polso (la macchina è occupata: aspettare!), la famigerata bomba (crash di sistema: macchina impallata) o la Monna Lisa (il computer funziona), la manina o la freccetta?
Dopo due anni trascorsi alla NeXT Inc., ove a disegnare il logo viene chiamato Paul Rand (uno dei maestri ideali di Kare, assieme a Saul Steinberg), Kare si mette in proprio e, tra i primi incarichi, traccia nel 1987 (su incarico della Microsoft) un buon numero di icone per Windows 3.0, la risposta del mondo dei pc Ibm-compatibili alle interfacce wimp (windows, icons, mouse, pointers). Dopo aver fondato nel 1989 lo studio Susan Kare LLP (www.kare.com), ha lavorato ancora con Hertzfeld, che è uno dei fondatori della General Magic, un produttore di tecnologie informatiche di Sunnyvale; in particolare, ha progettato i caratteri e le schermate del software General Magic's Magic Carpet per palmari, che da solo ha più 600 elementi grafici. Recentemente, ha ridisegnato un folto set di icone per Autodesk, leader del settore cad. Non troppo noto al di fuori del mondo degli specialisti, il suo lavoro ha infine avuto nel 2001 l’ambito riconoscimento del Chrysler Design Award, a coronamento di una carriera più che ventennale spesa nel migliorare l’usabilità e la qualità visuale delle interfacce dei computer. «La natura della progettazione di interfacce grafiche è collaborativa –chiarisce Kare–; gran parte del software di buona qualità è il risultato di un impegno comune tra ingegneri, venditori e progettisti. Il mio lavoro (collocato al livello più esterno del software, sopra tutto il resto) si è ispirato spesso a soluzioni informatiche immaginative e innovative. Attualmente sono attratta dall’opportunità di migliorare la qualità delle icone e dei caratteri dei palmari, oltre che dalla possibilità di immagini più grandi e colorate per i computer. Nella mia attività, mi son sempre applicata ad affinare il significato e l’apparenza di ogni immagine e spero che ciò, con un effetto cumulativo, renda il processo d’interazione con le macchine (il modo in cui la gente “vede” i programmi) più piacevole».
bibliografia minima
Ron Wolf, The Mother of the Mac Trashcan, in «San Jose Mercury News», 28 maggio 1990
Michelle Quinn, Art that Clicks: Icon designer Strives for Simplicity, in «The San Francisco Chronicle», 25 gennaio 1995
Laurence Zuckerman, The Designer who Made the Mac Smile, in «The New York Times», 26 agosto 1996
Craig Bromberg, I.D. Forty/Susan Kare, in «I.D. Magazine», gennaio/febbraio 1997
Owen Edwards, Legends: Susan Kare, in «Forbes Asap», 23 febbraio 1998
William L. Hamiliton, With the World Redesigned, What Role for Designers?, in «The New York Times», 25 ottobre 2001
Steve Caplin, Susan Kare, in Icon Design Case Studies, Cassell & Co, London 2001
[Susan Kare, in “Casabella” (Milano), 2004, 720, marzo, pp. 90-93]
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