[2003#06] adalberto libera
Roma 1928
Malamente sorretto da una scalcagnata instabile poltroncina, sullo sfondo di un muretto muffoso da cui emergono abbaini persiane tetti e più lontane chiome di pini, un giovane azzimato artista si mostra di profilo, col sole basso alle spalle, intento ad abbozzare a gambe divaricate un cartellone pubblicitario, ancora incompleto nel testo. All’ampio risvolto dei pantaloni scuri fa eco la manica della camicia chiara, arrotolata fin sopra il gomito del braccio sospeso nel gesto elegante di una mano che disegna con tocco leggero. Una rara quanto celebre immagine fotografica del 1928 ritrae così il venticinquenne Adalberto Libera, in studiata posa, sul terrazzo della pensione Suquet, ove alloggia a Roma, in via del Corso. Nell’autunno del 1925, Libera si è infatti trasferito da Parma, città di residenza della famiglia materna, per iscriversi alla regia scuola superiore di architettura della capitale, di recente istituzione. A Roma gli viene riconosciuta l’ammissione al terzo anno poiché a Parma, terminati gli studi liceali nel 1921, ha prima frequentato la regia scuola superiore di matematica per un biennio, poi si è diplomato nel 1925, a pieni voti, presso il regio istituto statale d’arte, nel corso speciale di architettura. Conseguita la laurea a Roma nel 1928 e superato l’esame di stato a Milano, il neo-architetto fa tesoro delle discipline e delle abilità diplomate a Parma, traendone non secondario vantaggio lavorativo: emblema ne è la fotografia sul terrazzo della pensione. Nel 1929, ad esempio, della ventina di lavori che rappresentano verosimilmente tutta la sua attività dell’anno, risulta che i 3/4 sono di progettazione visuale – fatto che meriterebbe forse più precise e approfondite ricerche. Una rimarchevole serie di manifesti, studi e bozzetti caratterizza, in altri termini, gli inizi della carriera di Libera. Occasionale forse, ma professionale certamente la produzione del giovane “artista letterista e cartellonista”, secondo il lessico d’allora, per quanto ciò sia stato poco rilevato dalla critica, che piuttosto tende a farne tutt’uno con la sua ricerca pittorica, di ben diverso assetto espressivo. Dei manifesti a stampa noti, se ne possono ricordare, per la qualità dei risultati, almeno due coevi: in quello a cui Libera accudiva nella fotografia del 1928, una razional-architettonica illustrazione giocosamente reclamizza (sopra un fittissimo ordinato testo) i concorsi nazionali per l’ammobiliamento e l’arredamento economico della casa popolare; un secondo (firmato con Restaino) promuove il volo Roma-Tunisi della Società Aerea Mediterranea, con una soluzione di sicura efficacia compositiva e concisa forza cromatica. La non troppo ricca documentazione disponibile nel merito di questo versante dell’attività di Libera offre, tuttavia, altre significative tracce, in vario stato esecutivo e con qualche problema di datazione: dal cartellone metafisicheggiante per la XCIV Esposizione (con un bel refuso nel testo: “Esrosizione”) degli Amatori e Cultori di Belle Arti a Roma del 1928 allo stentoreo bozzetto di manifesto per la prima Quadriennale di Roma del 1931, da una reclame per la Borsalino a vari schizzi sul tema “Visitate il Trentino e l’Alto-Adige” fino a una serie di dinamiche tempere che propagandano (sembrerebbe per un qualche tipo di stampato) le attività agonistiche del calcio e del tennis, nonché una società di navigazione marittima. Ben presto Libera trova una strada più consona alle aspirazioni che lo avevano condotto a laurearsi presso la regia scuola superiore di architettura di Roma ma è certo che la familiarità con i mezzi grafici, sia figurali che letterali, di cui aveva dato prova negli esordi accompagnino tutta la sua carriera, tanto nelle modalità di presentazione dei progetti, quanto in talune specifiche soluzioni di partiti espressivi. In particolare, la sua sagacia nel disegno di lettere trova reiteratamente modo di imprimere carattere epigrafico o, meglio, archigrafico a molte delle sue sperimentazioni allestitive, in padiglioni e mostre peculiari di un irripetibile clima italiano nel campo dell’arte del “mostrare”, nonché in alcuni dei suoi migliori progetti architettonici.
Milano 1938
Episodio altrettanto poco noto, nell’anno XVI EF ossia nel 1938 AD, coi tipi illustri del Bertieri Editore in Milano, Adalberto Libera pubblica il Manuale pratico per il disegno dei Caratteri, promosso dall’Enapi, l’Ente nazionale per l’Artigianato e le Piccole Industrie; significativamente, il testo italiano è seguito da integrale traduzione trilingue: Praktisches Handbuch fuer die Zeichnung von Buchstaben, Practical Manual of Letter designing, Manuel pratique pour le dessin des Caractères. Si tratta di un corposo album orizzontale, il classico formato “all’italiana”, che raccoglie 6 alfabeti completi di maiuscole, minuscole, numeri e punteggiature, scelti dai cataloghi correnti delle fonderie Nebiolo e Raimondi & Zucca. Nella prefazione, l’on. prof. Vincenzo Buronzo, presidente dell’Enapi, afferma che il volume “porge ai pittori letteristi un mezzo efficace non soltanto per fare più belle le iscrizioni che sono chiamati ad eseguire, ma per risolvere una infinità di piccoli e delicati problemi tecnici esecutivi, i quali tutti si possono così riassumere: saper conservare agli ordini alfabetici le loro giuste armoniose proporzioni su qualsiasi scala essi debbano essere realizzati”. “La creazione di un alfabeto – motiva ancora Buronzo, poche righe innanzi – è un fatto architettonico di primaria importanza che non a tutti è consentito di affrontare. Il problema superava e supera le possibilità dell’artigiano letterista. A risolverlo era indispensabile il consiglio e l’assistenza di quel più esperto fratello suo maggiore che è l’architetto”: perciò si è ricorsi “alla genialità e al sicuro senso pratico dell’Architetto Libera”. Con geometrica certosina pazienza, Libera traccia le forme tutte delle polizze dei tipi Luxor, Egiziano corsivo, Landi stretto, Normanno corsivo, Cairoli, Aldina: oltre 500 segni che il sistema proporzionale adottato consente di ridisegnare, con relativa facilità, tramite un “graticcio” modulare, tenendo conto anche degli avvicinamenti e delle spaziature opportune. Sebbene non siano note le circostanze precise dell’incarico di Libera da parte dell’Enapi, le ragioni son forse da ricercarsi nella obiettiva magistrale capacità di disegno di lettere, quale intima componente di progetto, dimostrata dall’architetto sin dagli esordi, lungo l’arco d’oltre un decennio: dal padiglione Extensiors (1928) al padiglione-reclam (sic) degli isolatori Fil (1928); dal padiglione Scac alla fiera di Milano (1930) alla colonia Gil a Portocivitanova Marche (1931 sgg); dalla mostra del decennale della rivoluzione fascista a Roma (1932), con elementi ripresi nel primo progetto per il palazzo del Littorio (1933-34), ai padiglioni italiani per l’esposizione mondiale di Chicago (1933) e l’esposizione internazionale di Bruxelles (1935); dalla mostra delle colonie estive al circo Massimo a Roma (1937) ai progetti per la mostra della razza a Roma (1942) e per il mausoleo ad Ataturk ad Ankara (1942), fino al progetto di padiglione per la società Terni (1948) – e l’elenco è certamente incompleto L’efficacia del metodico contributo di Libera alla qualità delle “scritture esposte” continua comunque a trovare conferma nel secondo dopoguerra; ad esempio, persino nella terza diffusissima edizione, pubblicata nel 1962, del Manuale dell’architetto promosso dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, il sommario di norme e dati illustra in 6 tavole il disegno dei caratteri riproducendo (con minimi adattamenti ma senza cenno alcuno a Libera) le tavole del Landi stretto e del Normanno corsivo del s Manuale del 1938. “Dalle iscrizioni monumentali di un edificio pubblico – aveva spiegato Libera, con accenti nei tempi attuali fors’ancor più urgenti d’allora, nella Nota dell’autore del Manuale pratico per il disegno dei Caratteri – a quella volumetrica o dipinta di un negozio, dal monogramma ricamato di un fazzoletto a quello inciso o riportato di un oggetto personale, si prospettano innumerevoli applicazioni che, a tutt’oggi, sono risolte nell’ignoranza completa dell’argomento, con forme o meglio deformazioni, che sembrano fantasie e sono invece arbitrio e ignoranza. I più belli e rinomati alfabeti hanno richiesto anni di lavoro e talvolta decenni di tentativi ed esperienze. È quindi impossibile anche per persone di talento e di buon gusto il poter improvvisare un alfabeto od anche semplicemente alcuni caratteri che a volta a volta dovessero servire”.
[Adalberto Libera pittore letterista, in “Casabella” (Milano), 716, novembre, pp. 18-23]
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