3.11.04

[2003#01] 500 architetture


cronache grafiche e storia di riviste, in forma di collage

Il buon disegno
“Io penso che ogni problema di industrial design conduca il designer a seguire una diversa procedura; anzi, che il valore di un buon disegno – dichiara Marcello Nizzoli, giusto nel 1955, anno di avvio de “L’architettura – cronache e storia” – dipenda, alla base, dal rapporto tra il metodo seguito e la forma del prodotto disegnato. Lo scopo è raggiunto quando il designer è riuscito a tener presente tutti i condizionamenti e a farli diventare, durante il suo lavoro, altrettanti elementi che concorrono alla sua visione del prodotto. Insomma la forma è quella che unifica ed esprime tutti gli aspetti anche talvolta contrastanti che caratterizzano un prodotto”.

“Metron”
La “rivista internazionale di architettura Metron”, prima tra tutte e sola nel settore fino al 1946 , “uscì nell’immediato dopoguerra, per iniziativa di Eugenio Gentili, Luigi Piccinato, Enrico Tedeschi, Cino Calcaprina, Silvio Radiconcini e B.[runo] Z.[evi]. I primi 24 numeri – piccolo formato, carta ruvida, poche illustrazioni – servirono ad aggiornare la cultura italiana che il fascismo aveva isolato dal circuito internazionale […] Della serie a formato medio (dal n. 25 al n. 44) e di quella a formato grande (dal n. 45 al n. 53-54), diretta da Riccardo Musatti, Luigi Piccinato, Silvio Radiconcini e B.[runo] Z.[evi]” va evidenziato, ai nostri fini, come il passaggio alle olivettiane edizioni di Comunità porti al ridisegno della grafica, della testata e dell’impostazione di copertina. L’adozionedel formato maggiore per la rivista nel 1952 è contrassegnato infatti dall’intervento della mano sicura ed assieme lieve di Marcello Nizzoli, presso il cui studio dal 1948 lavora G. Mario Oliveri, testimone e tutore (nonché, a tutt’oggi, attore progettuale primus inter pares) di siffatta straordinaria eredità, prettamente italiana, nel campo del disegno industriale e dell’architettura. Nel 1952, Nizzoli utilizza una fascia orizzontale pari al quarto superiore di copertina per organizzare, con sapienti asimmetrie e calcolate proporzioni di corpi, la tipo-grafica della testata, composta con un robusto carattere lineare quadrato, di ascendenza germanica tardo ottocentesca : nella prima riga, il nome in tondo nerissimo alti/bassi del periodico, ossia “Metron”; la seconda riga recita “ARCHITETTURA”, tutto in inclinato neretto alti; la fascia verticale sinistra accosta al dorso accoglie, in terza posizione dall’alto, il marchio dell’editore, sottolineato dalla dicitura esplicita “edizioni di Comunità”, sempre in inclinato neretto alti/bassi; al piede di questa fascia, il(i) numero(i) del fascicolo, in inclinato nerissimo. Nell’ampia area libera da questi elementi tipografici ricorrenti, Nizzoli sistema un’immagine fotografica emblematica (ma non troppo didascalica quanto piuttosto interpretativo-espressiva) del centro focale del numero, abilmente inquadrata, ritagliata e supportata da astratti interventi di figure, superfici e campiture cromatiche. Sul dorso, appoggiata poco sopra la posizione del numero(i) sul piatto di ocpertina, la dicitura “Metron architettura – n. [cifra(e)] – [mese] [anno]”, con verso di lettura dal basso in alto; interessante notare che, mentre il carattere di “Metron” è il solito bastoncino, il resto invece è composto con un carattere neoclassico nerissimo, un super-bodoniano di origini inglesi primo-ottocentesche.

La cosa necessaria

“Per Nizzoli progettare è sempre proporre un’immagine ‘artistica’ – sostiene a buon motivo Arturo Carlo Quintavalle, in una fondamentale monografia sull’artista di Boretto – e la sua grafica, se ve ne fosse bisogno, ne è la riprova migliore: si pensi non tanto ai manifesti quanto alle copertine di “L’architettura”, la rivista di Bruno Zevi […] Nizzoli intende, anche qui, andare oltre, perché sempre, al di là del riferimento cubista o postcubista, negli anni cinquanta appare in evidenza la volontà di calibrare al meglio gli intrecciati rapporti con l’astrazione e, quindi, con un gruppo di artisti che veniva faticosamente elaborando, a Milano, una strada diversa: Bruno Munari, Fausto Melotti, Lucio Fontana, ma anche altri che scavavano non solo nel mondo di Weimar e Dessau ma nelle civilissime, determinanti ricerche del costruttivismo […] Nel dopoguerra il problema di Nizzoli, e di molti altri sensibili progettisti con lui, è quello di collegare la cultura del nuovo con le tradizioni del passato, con la storia […] Il problema del rapporto con la storia finisce per ribaltare le antiche adesioni del progettista di Boretto all’architettura degli anni trenta, ben evidenti negli allestimeti in epoca fascista; a partire infatti dal dopoguerra, e progressivamente, Nizzoli, specie nel design e nella grafica […] propone una nuova serie di suggestioni che si collegano a notevoli invenzioni. Nizzoli insomma appare voler suggerire che la durata di un’immagine e, quindi, di un oggetto della memoria dipende dal sistema di riferimenti e allusioni che essa racchiude […] Il progettare di Nizzoli è nuovo infatti perché la sua invenzione appare mediata da una profonda consapevolezza interdisciplinare dei rapporti fra le differenti “arti”. Nizzoli è insieme grafico e designer, artista e architetto, arredatore e decoratore e molto altro, insomma Nizzoli ha conservato la visione globale della civiltà Jugend e Déco e se l’è portata dietro oltre gli specialismi della cultura del dopoguerra. Dunque la sua è “arte della memoria” in duplice senso, della memoria individuale delle culture sperimentate e della memoria collettiva, quella che si tramita negli oggetti comunque costruitii e vissuti e che ogni progettista deve saper riproporre per essere inteso, ma anche, possibilmente, e come ha fatto Nizzoli, per trasformare la realtà” .
“La componente pittorica – a detta di Benedetto Gravagnuolo – è l’autentica matrice latente che sottende l’intera opera nizzoliana: dalla cartellonistica pubblicitaria all’industrial design, dall’architettura all’urbanistica. Si tratta, del resto, di una scelta di metodo consapevole e teorizzata, prima ancora che istintiva, indotta da una naturale predisposizione all’inventiva visiva e dalla stessa formazione culturale di Nizzoli […] È importante notare che risale alla soglia degli anni venti la sua adesione entusiastica alle tesi agitate da Vincenzo Costantini [di cui cfr. L’arte applicata e la biennale di Monza, in “Arte pura e decorativa”, 1922, luglio] sulla necessità della ‘arte applicata’, vale a dire di un’arte volutamente finalizzata alla cultura industriale, capace di ri-disegnare l’oggetto banale, l’attrezzo d’uso quotidiano o – per dirla con le sue parole – ‘la cosa necessaria’. Da questo programma di estensione e di penetrazione capillare dell’esteticità nell’esistenza collettiva giornaliera, muoverà quella linea di pensiero che […] lo condurrà all’incontro decisivo con Adriano Olivetti, incontro che segnò l’avvio della vera e propria attività di designer. Già a partire dal 1938 – tramite la mediazione di quella singolare figura di ‘poeta ingegnere’ che fu Sinisgallli – Nizzoli inizia, infatti, la consulenza progettuale destinata alla ditta di Ivrea. [Con l’ampliamento degli uffici Olivetti (1948) e il complesso per dipendenti Olivetti (1948-52), ambedue a Ivrea, il lavoro di Nizzoli appare] sulla soglia di una controllata apertura verso le sollecitazoni formali della poetica organica di ispirazione wrightiana, poetica caldeggiata in quegli anni da quello straordinario opinion-maker che è stato Bruno Zevi. Non è casuale, del resto, che a partire dal maggio 1955 lo studio Nizzoli assuma l’incarico della grafica della rivista “L’architettura – cronache e storia”, diretta dallo stesso Zevi, redigendone sistematicamente il disegno di copertina, che diviene in qualche modo l’immagine riconoscibile, il vessillo di quell’organo di opinione”.

“L’architettura – cronache e storia”
In un panorama di periodici di settore nel frattempo arricchitosi, tra l’altro, dalla ripresa delle pubblicazioni di “Casabella” nel 1953 e dall’avvio nel 1954 di “Edilizia popolare”, nel 1955 (anno d’inizio anche de “La Casa” – e nel 1957 vedrà la luce “Zodiac”) “il passaggio da “Metron” a “L’architettura – cronache e storia” fu determinato – spiega Bruno Zevi in una sua godibilissima memoria – da Riccardo Musatti, che propose a Carlo Caracciolo di pubblicare la rivista. Sia Musatti che Caracciolo erano stati redattori del quotidiano “l’Italia libera”, organo del Partito d’Azione” . “‘E se cambiassimo formato? Potremmo addirittura adottare le dimensioni delle grandi riviste internazionali’, dissi timidamente a Max [Huber], – continua Bruno Zevi altrove – tanto per tastare il polso. ‘È un’ottima idea, cambiamo pure il formato’. Lo guardai sorpreso: ‘Ma l’impaginato del primo numero è tutto già fatto e i clichés sono stati eseguiti. Se ingrandiamo il formato, le fotografie appariranno troppo piccole, e tu ci farai una brutta figura’. ‘Non fa niente – rispose Max – se è utile per la rivista, cambiamo pure formato’. È un episodio che dimostra l’umanità di Max Huber. Stavamo preparando il primo numero della rivista “L’architettura – cronache e storia”, ed io avevo pensato di conservare il formato di “Metron”, la rivista che avevamo diretto per dieci anni, dal 1945 al ’54. Avevamo impaginato tutto il primo numero secondo il formato di “Metron” e solo pochi giorni prima di andare in stampa mi ero accorto che forse, per fare una grande rivista di architettura, era meglio ingrandirlo”. E così è stato; scorrendo la prima pagina (effettivamente ampia, giusto il formato di 24 x 32 cm ca.) del n. 1, anno I, maggio-giugno 1955, de “L’architettura – cronache e storia”, nel colonnino del colophon, a sinistra del ricco sommario, si legge, sotto un’immagine che riproduce la copertina in scala minima ma ancora leggibile, la didascalia “In copertina: Volte dell’atrio della Stazione di Napoli, secondo il progetto del Gruppo Castiglioni”; poco più in basso, i crediti di progettazione grafica, prima riga “copertina Marcello Nizzoli”, seconda riga “impaginazione Max Huber”.

Si dice che un buon inizio sia metà dell’opera; innegabile, per la nuova rivista di Bruno Zevi, un inizio “alla grande”, non solo per le opere presentate e per gli autori dei testi (da Giulio Carlo Argan a Giuseppe Samonà, da Ludovico Quaroni a Luigi Piccinato, da Mario Coppa a Giuseppe Mazzariol, per non citarli tutti) ma anche sul piano della qualità visiva e della mise-en-page. Due tra i maggiori “operatori visuali” del novecento in Italia, quali Max Huber e Marcello Nizzoli, collaborano infatti a farne, fin da principio, uno dei periodici più significativi, non solo per i contenuti ma anche (e olisticamente) per la qualità grafica e comunicativa. Da parte sua, Marcello Nizzoli agisce in perfetta e motivata continuità con il “buon disegno” di “Metron”, realizzando con le copertine della nuova rivista di Zevi “il lavoro di maggiore impegno e durata nel campo della grafica editoriale” . In effetti, la struttura di copertina e dorso della nuova rivista è una diretta mimesi di “Metron”, con minime variazioni; anche le scelte tipografiche (carattere, forze e composizione) sono le stesse di “Metron”, con gli opportuni adattamenti. La testata, in particolare, è sistemata in una sottile fascia (non di rado, esplicitata da una banda che manifesta un rapporto di inversione tra figura alfabetica e sfondo, ossia come campitura piatta bucata in trasparenza dalla titolazione), pari a circa 1/10 dell’altezza del piatto di copertina; in virtù della propria collocazione periferica ma non terminale, questa invenzione aggiunge un elemento dinamico-spaziale all’architettura di copertina. Ciò in cui maggiormente la nuova copertina differisce da(i pochi, ad ogni buon conto, fascicoli di) “Metron” è invece la soluzione adottata per l’imagerie, ad ogni effetto l’elemento forte di memorabilità e primario di qualificazione visuale, al di là della struttura testuale-tipografica (necessariamente ricorrente, se non altro ai fini di immediata riconoscibilità nei luogi di ostensione pubblica). Da una parte, per la palese concezione seriale (“continuità nella varietà”, si potrebbe parafrasare), metafora concreta del prodotto industriale, qual’è un artefatto grafico periodico di tale tiratura e ricorrenza temporale, nelle sue inderogabili esigenze di processo, e assieme mutuazione della prassi artistica dei “multipli”, come rivelano le affascinanti, incessanti prove di colore d’archivio, documenti preziosi che illuminano sulle peculiari modalità della fase sia di costruzione e fabbricazione dell’artefatto grafico, sia di scelta dell’esecutivo, a valle delle maquettes e a monte degli stamponi finali. Dall’altra, per il tono sperimentale delle soluzioni espressive e formali, perlopiù inclini a una sorta di astrazione lirica, a riscontro diretto della (rara) libertà e del (non comune) rispetto della vena ideativa riconosciute dal direttore al progettista grafico – come riprovano gli scambi epistolari, del resto. Affrancato da pedisseque imposizioni di illustrazione didascalica o di rappresentazione foto-realistica del sommario dei singoli fascicoli, Nizzoli può tenersi alla larga da approcci banalmente promozional-pubblicitari o prosaicamente titillanti gli appetiti di consumo, per meglio indugiare su moduli di persuasione e seduzione prettamente e schiettamente grafico-visuali. Gli schizzi e i bozzetti rimasti rivelano, infine, tanto un elevatissimo magistero di disegno (nella rigorosa capacità di concentrazione e sintesi), quanto un’intensa ricerca di minima materia per la definizione della forma, propria di un intero sobrio filone del disegno industriale contemporaneo: non si può non riconoscere, in breve, che “la forma unifica ed esprime tutti gli aspetti anche talvolta contrastanti che caratterizzano” il prodotto industriale, la rivista.

Il contributo al disegno delle copertine di 500 numeri de “L’architettura – cronache e storia” prima di Nizzoli–Oliveri (1955-65), poi di Nizzoli associati (1965-71), infine dello studio Nizzoli (1972-97) si è poi dipanato lungo l’arco di oltre quarant’anni, in una lunga e affatto straordinaria saga visuale che non ha molti equivalenti nella storia della grafica contemporanea (la prima cosa che viene in mente è il lavoro di Norman Rockwell, per cercare altrettanta assiduità, seppur su altri piani espressivi e in tutt’altri contesti produttivi). Un’analisi puntuale e comparata (anche con la coeva produzione d’altre riviste) dell’intero opus, nei suoi moti e oscillazioni, per quanto auspicabile (per le considerazioni specifiche a cui potrebbe portare, in termini di approfondimento d’indagine), esula giocoforza dai limiti di queste mie rapide note. Quale provvisoria conclusione a tal proposito, tuttavia, in sintonia con il collage che s’è azzardato per l’occasione, val la pena di riportare le parole di una testimone diretta e partecipe, Giusi Giuliani: “Lunga serie nel tempo, l’immagine della rivista è diventata anche una immagine inconsueta degli studi Nizzoli. Essa non è mai stata pensata come veste grafica comunemente intesa: in questo lavoro mensile sono stati coinvolti tutti i collaboratori interessati alle ricerche visuali, agli ‘assemblaggi’ cromatici, ai ‘segni’ simbolici. Sicché la copertina è diventata centro di scambi di idee, di critiche; una palestra di discussioni aperte ai temi attuali dell’arte moderna a cui essa si è spesso riferita”.

[500 architetture di copertina, nel catalogo di AA.VV., “L’architettura in copertina”, pp. 10-13, della mostra L’architettura in copertina, Fondazione Bruno Zevi, Roma, 22 maggio-30 giugno]
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