[2002#06] non si può non comunicare
Non a caso, il titolo di questo libro (quel solitario emblema verbale in copertina che sottovoce ci chiede: Communication What?) termina con un punto interrogativo, con il più sinuoso e allertante dei segni d’interpunzione. Un segno unico, questo ? in copertina, indispensabile per dare significato al tutto, e allo stesso tempo plurale, per instillarci il dubbio che di significati veramente possa essercene soltanto uno.
Paiono evidenti, infatti, almeno tre ? e ad essi – però sostanziali – si limitano questi svelti appunti, per non tediare vanamente il lettore.
1, un punto interrogativo sulla comunicazione.
2, un punto interrogativo sulla sostanza, sul cosa, della comunicazione.
3, legittimamente, anche un punto interrogativo sulla stessa natura e forma di quanto avete tra le mani or che leggete, ossia: questo, che libro è?
1
La comunicazione è un problema contemporaneo, forse il problema che meglio identifica il nostro tempo. Fatto sta che comunicare è un termine ambiguo, in senso problematico: significa tante cose, ma tutte insieme non stanno. Perciò è un problema. In sintesi estrema: comunicare (spiega l’etimologia) è sia “mettere in comune” sia “subire assieme un’autorità”. La comunicazione oscilla, insomma, tra poli estremi: tra il partecipare di una condivisione e l’essere sottoposti all’azione altrui. Comunicare è conflittuale incertezza tra dialogo e manipolazione, tra scambio e imposizione. E noi ci stiamo in mezzo, non sempre consapevoli, a volte drammaticamente, a volte allegramente. Volenti o nolenti, con la comunicazione tocca convivere: “non si può non comunicare”, secondo il ben noto assioma della scuola di Palo Alto.
2
Sulla sostanza della comunicazione esiste una sterminata letteratura, una teorizzazione ricchissima, affascinante e molteplice, che ha impegnato alcuni dei migliori ingegni del novecento, in specie nella seconda metà del secolo trascorso, negli ambiti più diversi dei saperi umani, dalla filosofia alla semiotica alla psicologia cognitiva – e l’elenco delle discipline non è certo completo. Qui non se ne può certo dar conto, neanche lontanamente, se non per sottolineare ancora la problematicità del tema della comunicazione nella nostra società. Al di là di tutto, però, il ronzio sterminato e interminato della comunicazione, necessità e lusso, implacabile sottofondo del quotidiano a cui non possiamo sottrarci, in questa parte privilegiata del mondo impone un’altra domanda, a chi con noi comunica: almeno, hai davvero qualcosa da dirmi?
3
Guardiamolo bene, riguardiamolo con attenzione questo libro. Un libro di comunicazione visiva? Può darsi ma non è così rilevante come si potrebbe credere. Non si può negare che si vedono sostanzialmente figure; certo non lo si legge nel senso di un testo verbale, quale tradizionalmente è un libro. Ma se è un libro da vedere, a che serve scriverne: “vanamente si cercherà di dire ciò che si vede: ciò che si vede non sta mai in ciò che si dice”, ha spiegato una volta per tutte Michel Foucault. Dunque uno scarto, ineliminabile, tra questi miei appunti e il resto. Allo stesso tempo, una felice confusione: questo libro confonde, cioè fonde assieme, rimescola le carte in gioco e rimette in allegra discussione la trama della tradizione. Il rinnovarsi delle cose, dei discorsi (verbali, visivi o altro che siano) può filtrare – almeno, così parrebbe – soltanto attraverso sottilissime fessure, ove il nuovo, l’altro, il diverso quasi si nasconde, per candido pudore o per falsa inverecondia non saprei. Per una di queste esili fessure, qui tracima, sgocciola, si raggruma e si raccoglie, in programmatico disordine e senza presunzioni didattiche, uno zibaldone zeppo di grafie autoriali. Guardiamo ancora: una sequenza ininterrotta e assieme discontinua di disegni, in pagine di segni che parlano di sé e, intanto, ci chiedono come e perché comunicare per segni. Una babele di idioletti, che restituiscono, in una discordante polifonia, il comune desiderio dei loro autori di mostrare (nuovi) significati condivisibili nell’esperienza quotidiana. Se per poesia si intende l’espressione dell’inaudito, della parola mai prima ascoltata eppur pronunciabile, si potrebbe ritenere che questi disegni siano immagini dell’invisibile, grafie di un mai prima visto eppur rappresentabile. Un libro d’arte - ma quale arte?
[intervento in AA.VV., Communication What?,ma edizioni, Venezia]
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