22.9.04

[2001#03] giovanni pintori


“I suoi risultati migliori di pittore, di grafico, di designer sono effetto di sintesi”: così Libero Bigiaretti ebbe a scrivere di Giovanni Pintori nel 1967, in uno dei “Quaderni di Imago” della Bassoli, cogliendo un punto che si pone - anche in questa sede - come essenziale. Si tratta della singolare capacità di sintesi iconica, della peculiare virtù di giungere a produrre concentrate guizzanti energie visive, della magica abilità di estrarre indirizzare ridurre la rappresentazione a idea una di vibrante essenza, attraverso un misterioso lavorio congiunto della mente e della mano. Così questo straordinario visual designer italiano ha saputo rispondere e corrispondere (in modo assieme stringente e fantastico) alle esigenze di immagine promozionale coordinata della Olivetti, per un assai ampio arco di tempo nel corso del novecento. Ma andiamo con ordine.
Fisico asciutto, carnagione olivastra, non troppo alto e dotato di un caratteraccio - così descrivono le cronache il nostro Giovanni Pintori, noto a tutti semplicemente come Pintori, che nasce nel 1912 a Tresnuraghes, in provincia di Nuoro. Nel 1930, a diciott’anni, Pintori vince una borsa di studio per l’isia (istituto superiore per industrie artistiche) di Monza, che frequenta fino al 1936, con insegnanti del calibro di Marcello Nizzoli, Giuseppe Pagano ed Edoardo Persico - tre dei maggiori esponenti delle originali ricerche razionaliste in Italia tra le due guerre e figure di spicco della nostra cultura artistico-architettonica. Pintori allora collabora all’allestimento sia della mostra d’arte grafica della VII Triennale di Milano, sia della celeberrima mostra dell’aereonautica italiana che si tiene nel 1934, sempre presso il palazzo dell’arte milanese. Nel 1937, Adriano Olivetti lo prende con sé nell’ufficio pubblicità dell’azienda: impegno che Pintori esplorerà per oltre trent’anni, fino a diventare direttore artistico dell’ufficio nel 1950, ottenendone fama internazionale e fondatamente duratura. Pintori ha infatti impresso un segno indelebile alla comunicazione aziendale dell’impresa italiana più attenta a quel che oggi i giornalisti chiamano “effetto-design”, tanto da suggerire a un colosso come Ibm l’idea e l’esigenza stessa di una corporate identity strutturata che verrà affidata alle mani abili di Paul Rand. Dunque, caso memorabile ed esemplare, quello della Olivetti, nella storia dell’industrial design, da paragonarsi alla prototipica vicenda teutonica della Aeg con Peter Behrens: nonostante gli anni trascorsi, rimane perciò fondamentale, per chi volesse collocare la vicenda di Pintori nel contesto storico che gli compete, la documentazione raccolta nel volume Design Process Olivetti 1908-1983, pubblicato dalle edizioni di Comunità. Nel resto dei suoi anni, dopo l’apertura di un proprio studio nel 1968, Pintori si dedicherà (con pudore) soprattutto alla pittura - come accadrà ad un altrettanto grande e di poco più anziano progettista visivo che varrebbe la pena di porgli accanto, per assonanze di ricerche visuali, in una ideale galleria dei protagonisti della grafica italiana del novecento, ossia l’architetto Franco Grignani. Nella sua posizione di intransigente designer, Pintori ha saputo decantare con acribia nei tre decenni di attività immaginativa all’ufficio pubblicità una sapientissima sequenza di memorabili campagne per i prodotti della Olivetti, tra le quali è difficile isolarne una esemplare: si va da quella per le macchine da scrivere Studio 42 e Studio 44 del 1937-39 (ove è affiancato da una figura di primo piano come Leonardo Sinisgalli) a quella per la Lexikon del 1953, da quella della Lettera 22 del 1954-55 a quella per la Tetractys del 1956, da quella per la Divisumma del 1956-57 a quella per la Elettrosumma sempre del 1956-57, fino a quella per la Raphael del 1961; da non dimenticare, peraltro, la sistemazione dello showroom Olivetti a Milano del 1963 e i vari caratteri per macchine da scrivere disegnati nei secondi anni cinquanta, oltre a una celebre copertina per “Fortune” del marzo 1953, che accompagna la fama raggiunta oltr’Oceano con una sua mostra al MoMA di New York destinata a circolare poi tra Londra e Parigi, per approdare infine alla Biennale di Venezia - uno dei moltissimi tra riconoscimenti premi ed esposizioni che hanno segnato la carriera di Pintori. Alla sintesi unica che nel mondo produttivo delle imprese (multinazionali) ha rappresentato la Olivetti, tramite una gamma plurale di capacità imprenditoriali, produttive, organizzative, inventive e soprattutto culturali (vero motore dell’economia), ha invero corrisposto in pieno la caratterizzante sintesi visuale che Pintori ci ha lasciato nei suoi affascinanti lavori a stampa. Di matrice e segno sì fortemente personali, quanto prettamente italiani, all’egida di un solare razionalismo lirico che - non troppo sotterraneamente - segna la continuità delle ricerche espressive di molti protagonisti delle arti del nostro paese, dai secondi anni trenta alla fine dei cinquanta. In un’era come l’attuale, inesorabilmente marcata da processi di globale omologazione, potrebbe essere interessante chiedersi se le specifiche qualità attinte da Pintori, con l’efficacia sintetica universalmente riconosciuta alla sua espressione, non abbiano forse trovato radice profonda e maturato originale forza proprio in virtù e all’interno di una tradizione: quella dell’indigena, autoctona storia delle arti grafiche del Bel Paese, che, prima d’esser necessariamente tradita da chi intenda praticarle, dovrebbe tuttora e ancora - a nostro avviso - essere conosciuta, tramandata e attraversata.

[Pintori, Omen Nomen, in “sintesi” (Perugia), 12, febbraio 2001, snp]
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