21.9.04

[2001#02] jan tschichold


Nell’ottobre 1925, le «Typographische Mitteilungen» di Lipsia pubblicano elementare typographie: un avvenimento centrale nella storia della grafica del novecento, che suscita in Germania un’eco subitanea di polemiche, consensi e conversioni, pronta a rimbalzare in fama universale. «1 La nuova tipografia -vi si legge, tra l’altro- ha un fine obiettivo. 2 Il fine della tipografia in generale è la comunicazione. La comunicazione si realizza nel modo più sintetico, semplice ed esatto possibile. 3 Per rispondere alle funzioni sociali della tipografia, bisogna organizzare le sue componenti, sia interne (contenuti), sia esterne (uso coerente di materiali e metodi di stampa). 4 Organizzazione interna significa limitarsi agli elementi di base della tipografia: lettere, cifre, segni, righe di caratteri […] Gli elementi di base della nuova tipografia includono […] anche l’immagine oggettiva: la fotografia. La forma di base del carattere da stampa è senza grazie». Autore del ‘manifesto’ -e progettista del fascicolo- è Jan Tschichold: un ventitreenne calligrafo, destinato a diventare uno dei massimi progettisti visuali del novecento, che si è trovato sulla sua via di Damasco nell’agosto 1923. Visitando allora la prima mostra del Bauhaus a Weimar non solo ha conosciuto i lavori dei maestri della scuola ma è anche entrato in contatto con le ricerche degli artisti delle avanguardie più radicali -come El Lisickij, Schwitters o Van Doesburg-, con immediati effetti sul suo lavoro. Di etnia slava, donde l’ostico cognome (traslitterazione di genti del Sorbenland), Tschichold nasce il 2 aprile 1902 a Lipsia; figlio d’arte -il padre Franz è pittore d’insegne- e aspirante artista, dal 1919 frequenta l’accademia di arti grafiche e del libro della sua città. Nel 1921, divenuto assistente all’accademia, inizia anche l’attività professionale, che fin’oltre la metà degli anni venti lo vede comporre calligraficamente -come s’usava- centinaia di annunci pubblicitari. Alla fine del 1925, va a Berlino a cercar fortuna; trova moglie in Edith Kramer e lavoro a Monaco di Baviera, ove si trasferisce nel giugno 1926, chiamato a insegnare da Paul Renner (impegnato a disegnare l’epocale carattere Futura). Tra fine anni venti e primi anni trenta, non gli mancano peraltro lavori di grafica o di disegno di lettere -da un monotipo sperimentale all’albersiano Transito, fino alla decina di (perduti) tipi per la nuovissima e poco fortunata macchina della Uhertype, la prima fotocompositrice della storia. Soprattutto, in quel torno d’anni comincia a scrivere una serie di importanti testi (oltre 25 i volumi pubblicati nell’arco della sua vita), di cui progetta anche la veste grafica. Inizia nel 1928 con un fondamentale (seppur, per oltre mezzo secolo, accessibile solo a lettori di lingua tedesca) e assai -noto libro, intitolato Die neue Typographie: primigenio tentativo (a detta degli storici) di una teoria della progettazione visuale degli artefatti a stampa. Tra fremiti ideologici, ingenue intransigenze e furori novatori, Tschichold approfondisce le argomentazioni della ‘nuova’ grafica, segnata da asimmetria funzionale e antidecorativismo macchinale, purezza astratta e semplicità ritmica. Visibile protagonista del Kultur-Bolschewismus -a detta dei nazisti, giunti al potere-, nella primavera del 1933 viene arrestato e, mentre è in ‘custodia protettiva’ per sei settimane, apprende di aver perso il suo posto d’insegnante. Nell’agosto 1933, si rifugia con la moglie e il figlio di quattro anni a Basilea; con un permesso provvisorio di lavoro vive una situazione di ambasce continue, fino alla concessione della cittadinanza elvetica nel 1942. Dalla metà degli anni trenta, gli avvenimenti lo portano, del resto, a considerare in una diversa prospettiva le categoriche affermazioni giovanili, a favore sia di un approccio meno rigido alle esigenze della progettazione visuale, sia di una ragionata convivenza tra tradizione e innovazione. A molti ciò apparirà come un vero tradimento ma nell’appassionato auto-da-fé di Glaube und Wirklichkeit, pubblicato nel giugno 1946 in risposta a un attacco violentissimo di Max Bill, la ‘nuova tipografia’ è paragonata da Tschichold a una teutonica, militaresca volontà assoluta di irreggimentazione: «la tragedia fu che la sincera, ascetica semplicità [della nuova tipografia] raggiunse presto un punto oltre il quale non era possibile andare […] iniziò la ricerca di forme nuove, che tendevano naturalmente all’altro estremo, la decorazione […] sarebbe sbagliato considerare la tipografia decorativa come la forma moderna: ambedue sono moderne, se si smette di investire la parola ‘moderno’ di giudizi di valore». Dopo aver lavorato per editori svizzeri quali Benno Schwabe o Birkhäuser, nell’immediato dopoguerra viene chiamato a Londra dall’intuito geniale di Allen Lane, per riformare i Penguin. Dal 1947 al 1949, Tschichold affronta il compito immane di progettare una produzione editoriale di massa, che per i titoli normali prevede prime tirature non inferiori a 50mila copie. Stabilisce le magistrali Composition Rules, ridisegna le copertine e i simboli, definisce le griglie di una ventina di collane ma si rifiuta categoricamente di fissarne i tipi una tantum e disegna oltre 500 frontespizi, con individuale cura. Tornato a Basilea, continua l’attività di progettista editoriale e, dal 1955 al 1967, è consulente tipografico della Hoffmann-La Roche; nella prima metà dei sessanta disegna il suo carattere più noto, una variazione problem-solving del Garamond, che porta il nome di Sabon. Nel 1968, si ritira a Berzona, in Ticino; l’11 agosto 1974, lascia questo mondo. «In general, we should consider the typography of the Western world as one and the same thing […] -aveva affermato nel 1959 a New York, distillando il suo pensiero- The aim of typography must not be expression, least of all self-expression, but perfect communication achieved by skill. Taking over working principles from previous times or others typographers is not wrong but sensible».


[Fede e realtà, in “Casabella” (Milano), 688, aprile, p. 94]

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