14.8.04

[2000#04] wolfgang weingart


L’arte tipografica di Wolfgang Weingart, sintesi di testo e immagine
Nel corso del novecento si assiste al lento evolvere in Europa, lungo strade complesse e nodi plurimi di scambio, di un approccio oggettivo, razionale, sistematico alla grafica, che sposta il proprio accento dall’espressività e inventività artistica a una razionale progettualità comunicativa, dall’estro pittorico al design, inteso come disciplina rigorosa e trasmissibile del trattamento oggettivo dell’informazione visiva. Durante la seconda guerra mondiale, nella neutrale confederazione elvetica si sviluppano i semi di questo approccio, germogliati nei decenni precedenti tra Olanda e Germania, impiantandosi nel fertile terreno locale e incrociandosi con quelli indigeni, che hanno i nomi eccellenti di Max Bill e Theo Ballmer (ambedue allievi del Bauhaus), Walter Herdeg e Herbert Matter, Emil Schulthess e Alfred Willimann, Hans Neuburg e pari altri. Contemporaneamente, i centri di insegnamento superiore, le scuole di arti applicate di Zurigo e di Basilea, stabiliscono degli standard di eccellenza formativa e concorrono metodicamente al definirsi della “grafica svizzera”, fino a trasformarla in quello stile che ha dominato la scena internazionale per decenni. A Basilea insegnano per decenni personaggi del calibro di Emil Ruder e Armin Hoffmann, che è colui che vi chiamerà Wolfgang Weingart nel 1968. Nel 1955 Karl Gestner, grafico di Basilea, progetta e impagina un importante numero monografico di “Werk”, dedicato alla grafica: è l’occasione per mettere a punto il concetto di “griglia”, quale tracciato regolatore e ordinatore nel progetto degli stampati. Nel 1957, Max Miedinger disegna per la fonderia svizzera Haas un tipo bastoncino destinato a planetaria fama e successo, il Neue Haas Grotesk, basato sull’Akzidenz Grotesk: per la distribuzione sul mercato tedesco, da parte della Stempel nel 1961, viene ridenominato Helvetica, un tipo fin troppo a tutti noto. Nel 1958 inizia le pubblicazioni la rivista trilingue elvetica “Neue Grafik”, con l’intento di “creare una base internazionale per la discussione della grafica moderna e delle arti applicate”, frutto dell’impegno senza compromessi di quattro grandi progettisti svizzeri: Richard P. Lohse, Hans Neuburg, Carlo Vivarelli, Josef Müller-Brockmann; quest’ultimo è l’autore, tra l’altro, di Gestaltungsprobleme des Grafikers, prima sistematizzazione del principio della “griglia”, fondata sulle modulazioni tipometriche, con cui si identifica uno degli aspetti più noti della grafica svizzera. La “grafica svizzera”, a questo punto, è un fatto compiuto e si impone internazionalmente; banalizzandola, la si può tradurre in formule: adozione normativa di griglie d’impaginazione tipografiche modulari, utilizzo sistematico del bianco della pagina nell’equilibrio compositivo, ricorso quasi esclusivo a caratteri bastoncini, impostazione prevalentemente asimmetrica, preferenza per la composizione a bandiera. Il tutto, con un tono di oggettività impersonale, che finirà per tradursi nel dogma di una astratta funzionalità e impersonalità, di trasparenza dell’autore e di presunta oggettività dei mezzi di comunicazione. È esattamente a questa dogmaticità, fattasi ormai rigida norma asettica, ridotta ad anemica forma di ordinata pulizia, che Wolfgang Weingart reagirà, a partire dalla metà degli anni sessanta, tornando a considerare con ottica rinnovata soprattutto il valore sintattico delle componenti progettuali della grafica, rimettendo in discussione quanto era dato per scontato e accettato come accertato e universalmente vero, rimescolando le carte di un gioco che sembrava ormai fissato senza possibilità di variazioni, avviando un processo che (non senza equivoci) ridefinirà il volto della grafica attuale. “Per me non vi sono mai stati problemi di tipografia - spiegava Weingart al principio degli anni settanta, in una celebre conferenza - ma, piuttosto, solo problemi tipografici. Tra testo e immagine non vi è competizione di sorta, semmai vi è un’alleanza.[…] A un esame critico più attento, si comprende che la vita del progetto scaturisce dai suoi valori sintattici, dalla connessione, cioè, tra elementi come il tipo, il formato e la collocazione. Ritengo che sia proprio qui, nell’espressione del momento sintattico, che risiedono i criteri decisivi, nel senso che qui si rende fruibile la configurazione grafica, la definizione globale. […] Oggi è possibile fare tipografia solo a condizione di comprendere la dimensione sintattica della tipografia. Detto più chiaramente, la dimensione sintattica nella tipografia è per me un territorio nuovo. Io vedo qui un vocabolario visivo inesplorato e sorprendente, dotato di metodi progettuali più efficaci nel fornire le informazioni. […] La tipografia è per me un rapporto triangolare tra idee progettuali, elementi tipografici e tecniche di stampa. Qualsiasi problema si presenti […] è analizzato alla luce di questi tre aspetti, i cui criteri non vanno mai disattesi. L’elemento veramente speciale, per me, rispetto al valore che assegno alla sintassi tipografica, è la variabilità dei materiali tipografici, sotto l’influenza dell’idea e della tecnica. In altre parole, intendo la flessibilità con la quale, a fronte di problemi diversi, la tipografia è funzionale ma al tempo stesso conserva il proprio significato”. Così facendo, nel suo lavoro e con i suoi studenti, Weingart ha rimesso in discussione una secolare tradizione grafica, gutenberghiana e prim’ancora scrittoria, riportando alla luce valori espressivi e comunicativi negati da secoli di consuetudine, in una nuova sintesi di testo e immagine che ha ridefinito i rapporti tra tradizione e innovazione, tra norma e trasgressione, tra ordine e disordine, radicalmente rinnovando il concetto contemporaneo di arte tipografica. Weingart ha svolto cioè un ruolo fondamentale sia di critica della tradizione, sia di tempestiva riflessione sulle nuove tecnologie. La formazione di Weingart è stata, infatti, quella tradizionale di un compositore nell’epoca ancora del piombo, di una tecnologia fisica stabile dal secolo di Gutenberg; e nel tramonto di quell’epoca, dalla metà dei sessanta alla metà dei settanta, che comincia a mettere in questione le regole consolidate della tipografia. Ma ben presto, consapevole degli sviluppi in atto nella fotocomposizione, nel passaggio dal caldo al freddo, dal piombo al film, Weingart elabora nuove strategie comunicative sperimentali, con inedite forme di composizione fondate sulla stratificazione, deformazione e sovrapposizione di testo e immagine, ove didatticamente denuncia spesso le componenti fisiche del processo, prefigurando quanto diverrà portato tipico dell’uso di programmi di elaborazione digitali di immagini. E immediatamente dopo, al primo comparire negli anni ottanta del desktop publishing, del personal computer come strumento di progettazione, Weingart si rapporterà in modo altrettanto disinibito e inventivo, intuendo le nuove chances che la tecnologia digitale offre nell’aver trasformato la fisicità della lettera fusa di piombo in un deformabile elastico contorno, nel consentire compenetrazioni, fusioni e stratificazioni prima impensabili per le immagini, nel permettere iterazioni, traslazioni, mutazioni, variazioni e soluzioni limitate solo dall’intelligenza del mezzo. A suo merito, va dunque ascritta anche la rara sensibilità di aver saputo immediatamente avvertire e mettere alla prova, senza nostalgie né ostacoli, quanto appena si poteva intuire della radicale trasformazione dei mezzi di produzione del progettista tipografico, potentemente radicatasi nei decenni successivi, dimostrandosi capace di affrontare serenamente e positivamente la catastrofe digitale in cui siamo ancora fortunosamente immersi.

[L’arte tipografica di Wolfgang Weingart, in “sintesi” (Perugia), 9, giugno, snp]
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