13.8.04

[2000#03] pittogrammi

Da un po’ di tempo, i grafici son tornati a interessarsi ai pittogrammi, speciale categoria di segni che manifesta una particolare capacità di sintesi tra idea e immagine, in un originale amalgama espressivo, assai solleticante agli effetti del linguaggio visivo. Alt! Ogni tanto - non credete? - è utile tornare a chiarirsi le idee, a fare il punto sulle definizioni delle cose di cui si scrive, per non fare e non creare confusioni. Si parla spesso qui, e ancora se ne parlerà, di segni. Ma che cos’è un segno? CS Peirce, uno dei fondatori della semiotica (la teoria generale dei processi segnici), spiega in un celebre passo che ogni “segno, o representamen, è qualcosa che sta per qualcos’altro, per qualche aspetto o capacità: esso si indirizza a qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un segno equivalente”; il segno è dunque un sostituto, un succedaneo, un simulacro dell’oggetto a cui si riferisce, secondo una concezione che risale almeno a sant’Agostino. “Da questo modo di vedere - commenta Ugo Volli - deriva l’idea di una circolazione infinita dei segni nella vita sociale, quella che Umberto Eco chiama semiosi illimitata. Fino a che un fenomeno comunicativo, in particolare un segno, è vivo, lascia continuamente nuove tracce di sé”. Ma allora quello dei segni, vien da chiedersi, è un linguaggio della comunicazione? “Effettivamente si usa spesso il termine ‘linguaggio’ in modo metaforico - argomenta in un’intervista Roland Barthes - per qualsiasi tipo di comunicazione o, cosa più grave, per ogni tipo di espressione […] Tecnicamente, il ‘linguaggio’ è qualcosa di molto preciso: nel sistema di segni che costituisce il nostro linguaggio articolato, i segni sono - se così si può dire - due volte divisi: una prima volta in parole, una seconda volta in suoni (e lettere). A livello delle parole, il rapporto che unisce il significato e il significante è un rapporto immotivato; per esempio, quando si dice ‘bue’, il suono in sé non ha alcun rapporto analogico con ciò che possiamo chiamare ‘immagine psichica’ del bue. Tant’è vero che il suono utilizzato cambia da una lingua all’altra. La seconda articolazione, quella dei fonemi, funziona per opposizioni di numero finito, che sono opposizioni binarie. Per questa ragione si dice che il nostro linguaggio articolato è un codice digitale […] Accanto al nostro sistema linguistico a doppia articolazione esistono altri sistemi di comunicazione in cui, questa volta, il rapporto del significato e del significante è analogico. È il caso, per esempio, della fotografia (in questo caso preciso il rapporto è molto forte, molto verista, si potrebbe dire), degli schemi come quelli del codice stradale e di certi disegni di uso pedagogico. Non si può parlare di ‘linguaggio’ a proposito di segni senza doppia articolazione e in cui il rapporto significante/significato è analogico […] L’immagine, in quanto segno, in quanto elemento di un sistema di comunicazione, ha un considerevole valore impressivo. Si è tentato di studiare questo potere di choc ma […] occorre essere molto prudenti: in quanto segno, l’immagine comporta una debolezza, diciamo una difficoltà notevole che risiede nel suo carattere polisemico. Un’immagine irradia sensi differenti, che non sempre sappiamo padroneggiare […] per il linguaggio, il fenomeno della polisemia risulta notevolmente ridotto dal contesto, dalla presenza di altri segni, che indirizzano la scelta e la comprensione del lettore o dell’ascoltatore. L’immagine si presenta invece in modo globale, non discontinua, ed è per questo che è difficile determinarne il contesto […] Così, ciò che l’immagine guadagna in impressività lo perde spesso in chiarezza […] Sì, questa koinè, questa vulgata di segni e di simboli visivi [a cui fa riferimento una domanda dell’intervistatore] comuni a tutti gli uomini può essere molto utile, ma non si potrà mai realizzare in questo campo, che ha codici estremamente ristretti, perché sono sempre analogici. E soprattutto non bisogna dimenticare che la comunicazione è solo un aspetto parziale del linguaggio. Il linguaggio è anche una facoltà di concettualizzazione, di organizzazione del mondo, e dunque è molto più della semplice comunicazione. Gli animali, per esempio, comunicano molto bene tra loro o con l’uomo. Ciò che distingue l’uomo dall’animale non è la comunicazione, è la simbolizzazione, cioè l’invenzione di segni non analogici […] Allo stato attuale, l’immagine rientra soprattutto nella sfera della comunicazione […] È stato detto e ripetuto che siamo entrati in una civiltà dell’immagine. Ma si dimentica che praticamente non c’è mai immagine senza parole, siano queste sotto forma di legenda, commento, sottotitolo, dialogo ecc.”. Questa lunga citazione di Barthes ci ha soddisfatto, per il momento; ora possiamo tornare ai nostri pittogrammi, con maggior sicurezza. Non prima di aver chiarito con Tomás Maldonado un’ultima questione terminologica: “Fonogramma è un segno grafico il cui referente è un elemento di espressione di tipo fonologico. Ad esempio, la parola ‘stop’ nella segnaletica stradale […] Pittogramma è un segno iconico il cui referente è un oggetto o una particolare classe di oggetti o ancora la particolare qualità o azione che la classe di oggetti può designare. Ad esempio, la rappresentazione grafica di due bambini in corsa per indicare ‘uscita scuola’ nella segnaletica stradale […] Diagramma infine è un segno grafico non iconico o di bassissimo grado di iconicità. Di norma il diagramma è usato per designare un evento o un processo o il modo o il luogo in cui si svolge un evento o un processo. Nella segnaletica stradale, ad esempio, il triangolo per segnalare ‘pericolo’ genericamente”. È stata proprio la necessità di trovare risposte appropriate e sensibili, non ripetitive né banali, a precise esigenze nel campo delle segnaletiche, sempre più diffuse e richieste nel mondo d’oggi, che ha portato molti e rinomati progettisti visuali a rimetter mano nell’ultimo decennio a repertori classici di pittogrammi, come quelli per i trasporti collettivi o per la circolazione stradale, che affondano le loro origini nei pionieristici sforzi del Touring Club italiano di fine ottocento, per trovare nel novecento un terreno di fertile elaborazione nel “metodo viennese” di Otto Neurath, poi noto come Isotype, International System of Typographic Picture Education, “un linguaggio mondiale senza parole” ideato per la rappresentazione statistica. Ma questo non basta a spiegarci la peculiare attrazione pittogrammatica che caratterizza, in un arco di tempo più recente, le personali ricerche di tanti grafici contemporanei, documentate - - ad esempio - da lavori come Facts of Life di Pippo Lionni (presentato al Typomedia di Franfurt a/M nel 1998, stampato a Mainz nel 1999 but coming soon also Facts of Life # 2) o dalle pittografie di Giorgio Camuffo che pubblichiamo in questo numero. Ciò che colgono e mettono umorosamente in luce simili lavori non è infatti la naturale predisposizione indicale o prescrittiva di questi segni iconici, quanto un coté laterale, interstiziale, residuale dei pittogrammi, in quanto artefatti analogici: la loro polisemia, la loro capacità di produrre nuovo senso, data dalla loro costitutiva ambiguità d‘immagini. Si attiva così una sorta di inedita sintesi narrativa, fatta di flash paradossali e di affermazioni recise (sospese spesso tra l’apodittico e il caustico), obbligandoci a una salutare riflessione sulla natura dei segni che configurano l’immaginario stesso della grafica contemporanea.

[La semiosi si camuffa, in “sintesi” (Perugia), 10, ottobre, snp]
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