Genova e Piano
Genova - Il dibattito su Piano. La metafora dell'Affresco e il richiamo alla realtà L'uso insistito della metafora è indubbiamente un dato fortemente connotativo della cultura contemporanea. Un palazzo per congressi diventa una nuvola, una sala per concerti un meteorite, un palazzo del cinema una libellula. La realtà velata dalle metafore è indubbiamente suggestiva ma delinea un territorio ambiguo dove ci si deve muovere con accortezza. La grande operazione di rinnovo della città lanciata da Renzo Piano per Genova non è aliena da queste implicazioni e per certi versi costituisce un paradigma realmente significativo ed emblematico. L'uso del termine Affresco, per altro affascinante, mentre da un lato attrae chi sa vedere oltre alle apparenze, dall'altro ha la controindicazione di offrire un buon margine agli oppositori consapevoli e agli scettici di complemento. Sembra che il paradosso ambiguo di questa metafora stia in questi termini: insistere sull'indiscussa bellezza dell'affresco per concludere che la realtà è un'altra cosa. Se ne deduce che la bellezza diventa un obiettivo impraticabile e non una risorsa imprescindibile per il rinnovamento urbano. Ad una considerazione così aberrante, in un momento di cruciale trasformazione della città, si giunge interpretando la metafora dell'Affresco del Grande Architetto attraverso un'aura misticheggiante che confonde e abbaglia, offuscando artatamente una giusta e consapevole lettura del progetto in questione che, al contrario, ha la pregnanza e la lucidità algida di una metodologia di carattere sistino, se si pensa, pur con le dovute e imprescindibili differenze, alla consapevole convergenza tra grande disegno strutturante e straordinarie architetture che ha caratterizzato il rinnovo urbano di Roma sotto Sisto V. Renzo Piano mette in scena uno straordinario strumento che prefigura una nuova idea di città, per certi versi inedita, ma certamente non estranea, dove si declinano in svariate forme le implicazioni paesaggistiche e le urgenze della contemporaneità, attraverso i tracciati ordinatori di un'idea che non vuole assolutamente essere totalizzante e tantomeno utopica. L'affresco è l'obiettivo, la forma compiuta della trasformazione, ciò che compare ora è piuttosto la figura incisiva di una sinopia, di un disegno preparatorio che deva ancora definire compiutamente colori, forme e figure e che, possedendo la grande pregnanza della struttura, ha implicita in sé la versatile possibilità dell'accoglienza. La nuova forma urbana lambisce Genova, addensandosi e complicandosi a ridosso delle aree centrali mentre con una grande intuizione, si stempera a ponente, verso Voltri, e a levante, alla Foce, in un'immagine in cui prevale la presenza del paesaggio Il suo declinarsi sul mare, in una sorta di sdoppiamento riflesso della città esistente, stabilisce nuove ed interessanti relazioni con la struttura del territorio retrostante. Poca attenzione si è prestata, a mio giudizio, ad uno degli aspetti più significativi della proposta di Piano, in altre parole la molteplicità delle implicazioni urbane e delle occasioni d'architettura che s'individuano nella lettura trasversale del disegno complessivo. Ho avuto modo di verificare, nel corso dell'anno, con un gruppo di giovani ricercatori e degli studenti del laboratorio di Progettazione della Facoltà di Architettura queste significative potenzialità progettuali e queste possibilità di relazione con il vincolo del contesto esistente, nella messa a punto di un grande modello, alla stessa scala del progetto di Piano, che sarà oggetto di un workshop ai Magazzini del Cotone dal 4 all'8 di Luglio. Il modello ricompone alcuni frammenti di quell'immagine latente che è sottintesa nella traccia della sua struttura ordinatrice, le dà, o cerca di darle, colore, forma e figura. Rimanendo nell'ambito delle discipline che si occupano dello sviluppo della città e della costruzione dell'architettura, è evidente che, all'interno dell'odierno dibattito che ha visto scendere in campo, pro o contro, diversi soggetti della realtà genovese, imprenditori, politici e intellettuali, si scontrano due concezioni realmente antagoniste dello sviluppo urbano. Non occorre descriverle compiutamente, raggiungono un picco di diamantina chiarezza in un punto preciso della città. Renzo Piano pensa di restituire all'inquadratura paesaggistica originaria i begli edifici di Daneri alla Foce, delimitando verso il mare il disegno di un'area che, con le opere di Piacentini, Vietti, Labò e dello stesso Daneri sulle alture di Quezzi, è ormai diventata storicamente una sorta di repertorio del Moderno a Genova. Altri prevedono l'approdo su quei lidi d'inquietanti cloni d'architetture altrove griffate, come il previsto 'Piccolo Hotel Bilbao' che campeggia in modo sinistro nella vista prospettica che illustra il deprecabile progetto del porticciolo turistico davanti a Piazzale Kennedy. Sembra che Piano abbia dichiarato di essere disposto a darsi emblematicamente fuoco su un pontile se quel progetto dovesse essere realizzato. Consapevole dell'evidente gravità dell'affermazione e auspicando con lui che tale rituale non abbia luogo, sappia che non potrò che essere al suo fianco. Con la convinzione che non saremo soli.
franz prati[
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