graphic design italiano
Nel sito dell’Adci (Art Directors Club Italiano), tra l’altro, si trova Cose buone dal mondo della grafica, un bell’intervento critico di Till Neuburg (che si autodefinisce: Ex graphic designer. Ex copywriter. Ex regista. Ex collaudatore di moto. Ex typeface designer. Ex regista. Executive producer. Extracomunitario), in cui si legge:
“Il fatto che il graphic design italiano, molto cresciuto in questi anni, abbia una visibilità ancora abbastanza debole, lo riconduco a tre fattori:
1 . La comunicazione pubblica (dalla modulistica fino alle campagne tv ministeriali), fa ancora vomitare - come cinquant’anni anni fa. Per tutto ciò che riguarda l’area della modernità, i nostri assessori e ministri sono ignoranti - nei casi migliori, si sono fermati a De Chirico e Sciltian. Di solito, si trastullano ancora col Vittoriale.
2 . Il design editoriale dei periodici è ancora a livelli polverosi. Non basta che qualche testata di nicchia faccia finta di essere trendy. Quello che conta è come sono impaginate “Famiglia Cristiana”, “Cucina Italiana”, “Moto Sprint”. E lì, l’Italia è ancora quarto mondo.
3 . La moda ha oscurato tutto. Quel mondo ha attirato (e anche disperso) risorse enormi e gli italiani dall’income buono credono che i paginoni sui quotidiani dei men in black griffati sia graphic design. È solo vetrinistica fatta con una foto.
Prima di fare il copy e il produttore, avevo fatto il grafico. I miei complici del design erano dei presuntuosi, più o meno simpatici, incapaci di comunicare. Contava la carta, la cordonatura, il bianco e nero, il retino, il cosiddetto segno (il carattere non contava, tanto era sempre il solito Helvetica). Erano architetti prestati alla carta, comunicare un contenuto a più di cento persone, non gli interessava.
Una setta.
Poi sono cresciuto, ma ho scoperto altre magagne. L’ho sempre pensato con rabbia e lo riconfermo anche oggi: l’Italia è un paese pieno di grandi talenti. Ciò che ci frega è il conformismo. Il marketing dei creativi giovani praticamente non esiste. Proporre ad un account o ad un cliente un nome che non è ancora famoso, è fatica sprecata. Se invece citi Philippe Starck, sei accolto come un profeta. Ritorno al futuro con effetto moviola.
Flaiano lo diceva alla sua maniera: «Gli italiani sono sempre pronti a correre in soccorso dei vincitori»”.
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