La
matura conquista classica dell'alfabeto risulta, dunque, in un
codice notazionale di lettere, in un convenzionamento di segni
(in fondo, analoghi a quelli della musica e di altre notazioni
performative) affrancati dal referente iconico genetico, tanto
efficace dal punto di vista delle capacità quanto semplice
da tracciare e apprendere, dotato di notevole stabilità
nella propria configurazione ma non perciò sottratto a
continue variazioni morfologiche lungo l'asse del tempo. Vi è
di più: ogni scrittura diviene visibile, si realizza,
si effettua solo nel suo materiale farsi segno fisico; ogni impronta
letterale, in specie, è risultante dell'interazione tra
due vettori, applicati a un sistema di configurazione: lo strumento
che traccia e il supporto su cui si traccia. A seconda della
loro natura, la storia in estrema sintesi ha visto
evolversi e trasformarsi gli alfabeti, lungo poco lineari percorsi,
in due filoni: le "archigrafie" e le "calligrafie",
per usare delle etichette di comodo. Nelle prime, risuona l'accezione
più antica dell'etimo stesso di "grafia", il
greco "graféin": scavare, raschiare, scalfire,
incavare, incidere "sémata grápsas en
pináki", "incisi i segni nelle tavole",
come recita l'Iliade. È il lavoro dello scalpello (o,
meglio, di ogni strumento atto a togliere o incidere e scalfire
la materia del supporto, come per lo scultore) che ha disegnato
pazientemente nelle tre dimensioni, per asporto e scavo, l'enorme
parco testuale graffito in stele, lapidi, fregi e insigni monumenti
classici, vero libro parlante dell'antichità, privilegiato
ambito dell'epigrafia. Da una parte, dunque, uno strumento "duro"
che scrive tramite rilievi (positivi o negativi)
lettere definite da contrasti chiaroscurali. È l'archigrafia,
come pratica incisoria monogrammatica, dal lento tracciamento,
che non sopporta indecisioni né tampoco errori; scrittura
di lunga durata in supporti durevoli e sostanzialmente immobili,
dal segno strutturalmente lapideo, intimamente connesso con le
qualità proprie del materiale per eccellenza dell'architettura.
Il repertorio che è chiamato comunemente "maiuscole"
ne è il lascito evidente, nella polistratificata storia
del complesso alfabetico. |
La
lettera capitale dei monumenti romani, che in epoca imperiale
si arricchisce dei tratti terminali noti come "grazie",
è una delle due componenti sostanziali del nostro alfabeto,
di eccezionale unitarietà formale e coerenza in un arco
storicogeografico plurisecolare, obbediente a dettati percettivi
rigorosi quanto rifuggenti geometrie elementari, in virtù
di una plastica sensibilità alla luce. Dall'altra parte,
invece, uno strumento "molle" che scrive lambendo e
coprendo il supporto di uno strato, lasciando una saliva, un
succo, una bava sulla scia del proprio passaggio. È la
"calligrafia" come tracciato bidimensionale, macchia,
opacità, sovrapposizione: lo strumento tracciante (calamo,
penna, pennello, pennino e simili, propri anche al pittore) è
un deposito temporaneo di liquidi scuri e oscuranti, che non
toglie ma aggiunge sulla superficie del supporto un visibile
indizio del proprio passaggio. L'orma piatta del movimento continuo
della mano e non l'urto di una abrasione vela un fondo neutro
e assorbente, facendo della lettera figura su sfondo. Dunque,
una scrittura in cui risuona l'altra polarità che convive
nell'etimo "graféin": dipingere, figurare, rappresentare;
in essa, la piacevole venustà delle tracce, la tattile
sensuosità delle grafie, la scioltezza del tratto trova
individuale, personale, autoriale espressione. Tendenzialmente
continua, fluida, la "calligrafia" esalta la velocità
di stesura, il valore figurale dei segni, la loro possibilità
di legatura nei poligrammi delle parole e delle abbreviazioni;
scrittura di relativamente breve durata in supporti effimeri
e sostanzialmente mobili, dal segno strutturalmente morbido,
intimamente connesso con le qualità proprie della carta,
materiale per eccellenza del disegno artistico. Alla vis sottrattiva
della "archigrafia", corrisponde dunque la natura additiva
della "calligrafia", il cui lascito più forte
nella storia del repertorio alfabetico è non a caso la
famiglia di lettere che chiamiamo "minuscole", al termine
di un millenario processo di elaborazione della lettera corsiva
e rustica latina, cioè delle forme di scrittura classica
non monumentali. |